È il 1921 quando l’archeologo Whemple (Arthur Byron) e il suo assistente sono a Tebe, per una spedizione per conto del British Museum. Entusiasti del ritrovamento di un sarcofago e di un forziere sepolto con esso, analizzano le antiche scritture che riportano l’atroce destino di quell’uomo che fu sepolto vivo per sacrilegio. In equilibrio tra scienza e occulto l’archeologo e il dottor Muller (Edwar Van Sloan) riflettono sulla maledizione riportata sullo scrigno. Il giovane assistente però non resiste alla tentazione e aprendo il forziere trova il papiro (libro) di Thot. Così facendo la maledizione si abbatte sul giovane facendogli perdere la ragione e riportando in vita la mummia del sacerdote Im-Ho-Tep (Boris Karloff).
Gli scarni dialoghi lasciano che siano le espressioni, i primi piani e i movimenti del corpo di ciascun personaggio ad esprimere il terribile destino di morte che, attende tutti coloro che si opporranno alla mummia. Undici anni dopo Im-Ho-Tep cela, attraverso il trucco, l’orribile carne raggrinzita del volto, prende le sembianze di Ardath Bey e, spogliatosi delle bende, indossa abiti appartenenti agli egiziani contemporanei.
Im-Ho-Tep vuole riconciliarsi con il suo amore così, con oscure intenzioni, fa sì che l’archeologo Frank, il figlio di Sir Joseph Whemple, trovi la tomba della principessa Anck-es-en-Amon. Da qui la storia prende una via sempre più tenebrosa portando divisioni contrastanti nell’animo della sventurata Helen Grosvenor (Zita Johann). Helen dove lottare con la principessa da cui è posseduta e l’amore per Frank (David Manners) è l’unica forza che ha.
Im-Ho-Tep ricorda per molti aspetti gli altri mostri della sua epoca, ma dal suo sguardo ipnotico e raggelante torna alla memoria Nosferatu di Murnau (1922). I poteri psichici che possiede vengono fusi a rituali antichi e a poteri conferiti direttamente dagli dei egizi. La cura dei dettagli nelle scenografie fanno sì che alcuni oggetti rimangano impressi nella memoria, come lo specchio d’acqua da cui il sacerdote, seduto sui cuscini vicino al gatto bianco (simbolo della statua raffigurante la dea alle sue spalle), osserva i movimenti dei malcapitati e li condanna a morte. Infatti i temi su cui si sviluppa questo racconto dell’orrore sono: amore, crimine e morte. Gli stessi temi che Im-Ho-Tep narra, a proposito della sua storia con la principessa e che rispecchiano, forse non così intensamente, quelli della colonna sonora tratta da Il lago dei cigni di Tschaikovsky (scelta dal regista anche per il suo film precedente Dracula).