“Nessuna ragione” è la risposta a tutti i perché del cinema di Quentin Dupieux. Lo dice bene lo sceriffo nella sequenza d’apertura del suo terzo film Rubber: “Perché, nel film di Spielberg E.T., l’alieno è marrone? Per nessuna ragione (…) In tutti i grandi film c’è sempre una sorta di irragionevolezza, perché? Perché la vita stessa è senza ragione.” Allora perché uno sceriffo deve dire a un gruppo di spettatori, nel bel mezzo di un deserto, questa cosa? Per nessuna ragione. Perché quello stesso sceriffo esce dal bagagliaio di un’auto che ha appena distrutto delle sedie? Per nessuna ragione. È un manifesto che il regista ha portato avanti film dopo film, passando attraverso cinghiali che mangiano e digeriscono, lasciandole integre, cassette VHS di Réalité fino alla giacca di pelle di daino che indossa e che ossessiona Jean Dujardin in Doppia pelle (recentemente distribuito in Italia).

Mandibules, ultimo film firmato dal regista francese, non poteva che essere altrettanto grottescamente senza senso. Inizia con una missione, un semplice obiettivo da compiere e una “buona” ricompensa. Jean-Gab e Manu intraprendono la via per portare a compimento la missione, ma ad ogni bivio cambiano rotta, o meglio, vanno fuori strada; complice la loro impacciataggine e una mosca gigante che i due trovano nel baule di un auto rubata. È un continuo scivolare e fallire, in piena commedia degli equivoci: sbagliare, ogni volta sempre più in grande. Tra i due si alimenta uno stretto legame (inscenato da un’iconica stretta di mano) che diventa amicizia a tre con la mosca. Il tutto, naturalmente, con serena tranquillità; il mondo brucia alle loro spalle ma i due protagonisti sembrano non interessarsene, continuando senza preoccuparsi, senza porsi domande. Sono quasi sempre in difetto con gli altri personaggi, ma su una cosa sono avvantaggiati: sembrano conoscere alla perfezione il cinema di Dupieux e il suo non senso.

Se la maggior parte dei lavori del regista proponevano importanti riflessioni meta cinematografiche, qui Dupieux si lascia andare al totale nonsense, tralasciando la riflessione teorica senza però mai abbandonare una scrittura e una messinscena inevitabilmente cinefila e cinematografica. Il suo è pur sempre cinema, ed è sempre più cinema. Certamente non mainstream, ma allo stesso tempo sempre meno indipendente, e questo Dupieux lo sfrutta a suo favore, prima nel lavorare con attori di una certa fama (Jean Dujardin e Adèle Haenel in Doppia Pelle, o Adèle Exarchopoulos in questo caso), poi con il giocare sempre meno “attraverso” e sempre più “con” il cinema di genere: se prima era un mezzo per mettere in scena altro, ora è il vero e unico fine. Non sembra un caso che E.T., citato in Rubber, venga ripreso in questo Mandibules nella presenza di un piccolo mostro che in qualche modo va nascosto dagli occhi della gente, anche se qui Dominique (è il nome che danno alla mosca) non “torna a casa”, ma “riporta a casa”.

Tra biciclette a forma di unicorno, macchine rubate e sacchi a pelo sulla spiaggia, Quentin Dupieux firma una commedia dai protagonisti apatici ma dove, alla fine, a primeggiare è l’empatia e l’amicizia. Un film in cui le buone intenzioni vengono tradite per poi essere ripagate, dove l’incapacità può rivelarsi capacità. Tutto questo perché? “Per nessuna ragione”.