Questo documentario sulla figura di Marcello Mastroianni fu girato nel luglio del 1996 durante le riprese di Viaggio all’inizio del mondo di Manoel de Oliveira, ultimo film interpretato dal grande attore italiano. È diretto dalla compagna Anna Maria Tatò ed è una lunga e intensa intervista durante la quale Mastroianni ripercorre gran parte della sua carriera e della sua vita. Tra divertenti aneddoti e dolci rivelazioni, Mi ricordo, sì, io mi ricordo è un ritratto esaustivo di Mastroianni, che vorremmo non smettesse mai di raccontarci di un cinema, di un mondo, per noi oggi così lontani.

Il suo disprezzo per la televisione, questa "scatoletta dove Marilyn Monroe diventa minuscola, quando la vedevamo sul grande schermo era tutta un’altra cosa", dove "a parte qualche film e documentario non c’è niente, solo programmi insulsi", ci lascia immaginare cosa avrebbe detto oggi Mastroianni di internet, dei social network, dei cellulari, di uno schermo diventato ancora più piccolo. Un sentimento che accompagna le immagini di Ginger e Fred di Federico Fellini, grottesca satira dolceamara sulla televisione commerciale anni Ottanta (le frecciatine a Mediaset si sprecano), immagini sulle quali Mastroianni si abbandona al ricordo del grande regista riminese, ai film fatti insieme, La dolce vita, a quelli non fatti, Il viaggio di G. Mastorna.

Di ricordo in ricordo Mastroianni passa in rassegna tutti i registi con cui ha collaborato. Da Mario Monicelli, del quale conserva la bellissima esperienza de I compagni, che considerava "un capolavoro di realismo, sembra quasi un documentario sulla Torino di fine Ottocento"; Elio Petri, per quel Todo modo che "venne dimenticato dopo la morte di Aldo Moro e non capisco il perché"; le stravaganze di Marco Ferreri, al quale si divertiva a proporre idee assurde; fino all’affetto per Vittorio De Sica, al quale non è mai riuscito a dare del “tu”.

Ma l’aspetto più interessante è il modo che ha Mastroianni di parlare di sé: sornione, goliardico e assolutamente distruttivo nei confronti dell’aura di divismo che lo accompagnò da La dolce vita in poi. Odiava i soprannomi che la stampa americana gli aveva affibbiato, quel “latin lover” che cercò di levarsi di dosso in tutti i modi, facendo l’impotente ne Il bell’Antonio di Mauro Bolognini, il cornuto in Divorzio all’italiana di Pietro Germi e l’omosessuale in Una giornata particolare di Ettore Scola. Mastroianni era fiero di avere un volto comune, simile a tanti, quel volto che Fellini preferì a Paul Newman per il suo Marcello Rubini de La dolce vita. E non ha mai smesso di deridere quel sensazionalismo sulla piena empatia tra attore e personaggio, quel soffrire per il carico emotivo che comporta, tipico dei colleghi americani. No. Per Mastroianni sono sciocchezze, recitare è un gioco, un ritorno all’infanzia, ci dev’essere sempre un distacco. Per dirlo con memorabili parole sue: "recitare è il lavoro più bello del mondo: ci pagano per giocare e ti applaudono pure".

Mi ricordo, sì, io mi ricordo è il documentario definitivo sulla figura di un attore straordinario e su un mondo che non tornerà mai più. L’unico difetto è la durata: 180 minuti sono forse eccessivi se consideriamo che dopo un po’ il discorso diventa ripetitivo e privo di quei fatti interessanti tutti concentrati nella prima parte. Inoltre, all’incirca a metà, c’è quel momento con quella frase strepitosa, quella musica in pace col mondo e quella barca che si allontana, che sarebbe stato perfetto come chiusa e che tutto lascia immaginare tranne che si sarebbe continuato per molto ancora.