In occasione delle celebrazioni felliniane, proseguiamo con la pubblicazione di alcuni estratti di articoli che scrittori, poeti e intellettuali hanno dedicato al Maestro e al suo cinema, contenuti nel fondo Calendoli. Non poteva mancare un pezzo su La dolce vita (1960). Scelta difficile perché molti intellettuali hanno scritto pro o contro su questa pietra miliare del cinema mondiale all’epoca della sua tanto discussa uscita; Pasolini, Fortini, Montanelli, Moravia, Mosca, Russo, Spriano, solo per citarne alcuni in ambito nazionale. Ma sul cinema di Fellini, mancano le voci femminili del Bel Paese. E quella di Camilla Cederna è così originale, fuori dal coro, che era ingiusto citare il suo articolo nella precedente puntata a lei dedicata, senza riportarne almeno un estratto.

La giornalista apre sfrontate finestre sull’impatto che il film, dopo sole due settimane di programmazione, ha avuto sulla popolazione milanese di qualsiasi estrazione sociale o livello culturale. Non si discute l’altro; persino nei temi dei bambini spunta il titolo del film. Dalle pagine di L’Espresso, nella sua rubrica Il lato debole, il 21 febbraio 1960, la Cederna sfodera tutta la sua ironia per colpire indiscriminatamente le critiche a Fellini che provengo tanto da destra quanto da sinistra, non risparmiando la propria classe di appartenenza, l’alta borghesia, né la Chiesa.

Ecco il testo di Cederna:

Milano. "Quel che leggete sui giornali dei grandi", è uno dei temi dato recentemente ai bambini d'una prima media milanese. E come al solito quando si tratta di bambini, le risposte sono state interessanti. [...]

Nel settanta per cento di questi componimenti, infine, non è mancato l'accenno alla Dolce vita, ed ecco il commento d'un bambino del quartiere Monforte. "Ho visto che questo film ha fatto arrabbiare tanta gente, tutti abbiamo ammirato le fotografie delle attrici e la faccia triste di Fellini, che sembra mio zio Gianni. Il risultato è che da molti giorni in casa tutti ne parlano, e c'è il papà che litiga con la mamma e i miei fratelli coi loro amici sempre per la Dolce vita, così il papà dice che ormai in famiglia si fa una vita d'inferno, e la mamma ci raccomanda di non lasciare in giro i giornali perché non li trovi la Tina, che guai se va a vedere questo film. La Tina è la nostra donna, è bionda e viene dal Bresciano".

Un bambino è riuscito dunque a precisare il clima creato nelle famiglie e nella società dalla Dolce vita, che ormai è l'argomento del giorno, il soggetto di discussioni convulse, il punto d'incontro o di frizione tra amici e conoscenti, lo scoglio da evitare a un pranzo mondano, lo scoglio a cui aggrapparsi invece in una serata noiosa, l'inizio d'improvvisi odi freddi, e di sùbite calde simpatie, il film per cui secondo molti dei "piccoli ossessi lombardi" (così si sono presentati degli ammiratori a Fellini durante il suo soggiorno milanese), si possono anche rompere delle amicizie […].

Per far prevalere i gusti, ognuno s'appoggia naturalmente alle reazioni dei personaggi autorevoli. Il prefetto di Milano Angelo Vicari è rimasto disgustato dalla Dolce vita, molti gesuiti invece lo raccomandano, padre Riboldi se n'è andato via a metà come un consigliere comunale appartenente al mondo del "cappuccio"; a Montanelli è piaciuto moltissimo, a Maria Callas neanche un po', a Dino Buzzatti sì, a padre Zucca no, al Giorno sì, al Corriere no, a don Pisoni no, all'Italia sì, ad André Roussin, di passaggio per Milano, moltissimo (secondo lui Fellini ha dei punti in comune con Shakespeare) e molto ai critici di quasi tutti i settimanali di Milano. La dolce vita infine ha scosso anche quei milanesi che di solito non sono affatto curiosi né aggiornati né passionali: il giorno dopo la prima in molti sono andati al club per vedere cosa ne diceva l'Unità: "Perché trenta lire a quelli lì mica mi sogno di dargliele!". [...]

Ed ecco che a un cocktail due eleganti signore si passano un biglietto: "Vedrai, così capisci tutto". E poi si saprà che non è una lettera rivelatrice, è invece l'articolo-anatema che Giovanni Mosca ha scritto sul Corriere d'Informazione, nel quale si profetizza che in seguito alla Dolce vita, i cavalli dei cosacchi verranno a Roma a dissetarsi nelle acquasantiere di piazza San Pietro, che, dopo le amministrative, Fellini ha intenzione d'affidare il paese ai sovietici, mentre per fortuna, e Fellini non lo sa, in Italia c'è ancora un mucchio di gente sana ed ingenua che si diverte un mondo a fare dei pic-nic sull'erba.

C'è però un'altra ragione di dissenso, e un po' più sottile. [...] In questo film, da parte di certi spettatori, agisce un totale rifiuto d'identificazione con uno qualunque dei personaggi, e rifiutandosi di riconoscersi e di partecipare a quella specie di confessione ad alta voce che è invece il film, s'indignano moltissimo. S'indignano allo stesso modo però anche quegli altri che parzialmente, e magari erroneamente, si riconoscono in qualche persona o categoria.

Quindi: "Quelli saranno così, noi siamo diversi. Io mi rifiuto d'appartenere... io non ho mai visto nessuna festa così, e anche se ce ne fossero del genere e qualcuno andasse poi in giro a raccontarla, giuro che gli spaccherei la faccia, così, è la nostra classe che ci va di mezzo. Il nostro ceto. Il nostro mondo. Non dimentichiamo che la nostra è la classe che ha fatto l'Italia. Qui s'attacca la classe dirigente e dobbiamo difenderci". Dal non riconoscersi, o dal riconoscersi vagamente, a condannare gli appartenenti al loro mondo che si son prestati al gioco di Fellini, e quindi a bollare il regista, il passo è brevissimo. […]

Quanto al fatto che proprio Roma cristiana e democristiana sia stata scelta come culla di scandali, i soliti entusiasti obbiettano che Roma è un pretesto, sia pure azzeccassimo; ma tutto il mondo è così. È un mondo sfatto, in attesa del diluvio. Alla domanda: "Dov'è l'arte?" rispondono che il male per quanti la cercano è considerar l'arte una visione edulcorata della vita; che la loro ipocrisia consiste nel fatto che a tutti loro la Dolce vita piacerebbe moltissimo se fosse ambientata a Parigi o a New York.

La discussione diventa ancora più aspra, quando arriva a sfiorare il problema fascista, "Ma sì, lo siete ancora tutti. Non vi accorgete quanti mal digeriscono l'accenno fatto con disprezzo a ‘quei giornali mezzo fascisti’ a cui Marcello collabora? E chi vuole il sequestro del film, agitando la bandiera dell'onore nazionale non fa che rimpiangere il clima in cui i film avevano intrighi melensi e telefoni bianchi, era proibita la rappresentazione del suicidio e dell'adulterio e le avventure un po' allegre bisognava farle svolgere a Budapest...". […]

Nel partito degli entusiasti, le donne sono come sempre le più imprudenti. Arrivano a offendere gli oppositori. "Ma di', non ti vergogni di pensare come quello lì? Non cominci ad aver qualche sospetto quando vedi chi sono quelli che vorrebbero proibirlo?'. È fatale anche che cadano nella frivolezza. Quel Fellini, ha charme, direi. Hai sentito che voce? Il suo è uno sguardo, finalmente. Un gatto, mio Dio, non sembra nemmeno uno del cinema. È come uno di famiglia, e in più, è intelligente". E infine sono soprattutto le donne, per il tifo che fanno e le notizie che diffondono, che meriterebbero una percentuale sugli incassi. […]

Sono due settimane soltanto che si proietta La dolce vita e i fanatici hanno già un gergo da iniziati. Sanno che ci son da parte ancora ottomila metri di pellicola e languono per vederli, citano nomi nuovi di attori come fossero già celebri. […] E anche che Fellini s'è ostinato a usare il 75 il 100 e anche il 150 che sono obbiettivi a fuoco lungo, da ritratto, e ha avuto ragione, tanto stupefacenti sono gli effetti ottenuti. [...]