Sulla maglia indossata dalla protagonista campeggia la scritta, in inglese, "L'amore è così corto, dimenticare è lungo", verso di una poesia di Pablo Neruda. E Moving On, esordio della giovane regista sudcoreana Yoon Dan-bi, presentato in concorso al Torino Film Festival 2020 e disponibile su MUBI, sembra originarsi proprio da quella frase e da quel componimento. Da quel sentimento malinconico votato al passato, ricordo di un amore scivolato via troppo in fretta e di cui si conservano i rimpianti. Yoon Dan-bi attinge in parte a vicende personali per un racconto che diventa un puro ritratto di una famiglia in trasformazione, che segue il mutare della società e il passaggio generazionale.

In Moving On il tempo sembra cristallizzarsi, eppure scorre inesorabile attorno alla quotidianità familiare e allo sviluppo dei rapporti, trasportando il presente nei ricordi e nei sogni. Assume infatti un valore retrospettivo, come se la regista, tramite Okju, abbia tentato di rivivere la propria adolescenza e soprattutto di riassaporare con una maggiore consapevolezza quel tepore giovanile e quegli affetti che troppo spesso diamo per scontati fino a quando non ce li ritroviamo alle spalle.

L'andare avanti del titolo, il trascorrere dell'esistenza e la "mancanza di quel luogo lontano in cui i cari si trovano e che a una tale distanza crea ancora più dolore nel petto, mentre si vaga nei sentieri del cosmo e la mente echeggia di pensieri", come recita, parafrasando, la canzone che si ripete nel film come unico commento musicale. Sono parole, quelle della canzone e del verso di Neruda, che compaiono, cantate o scritte, nell'immagine, determinando perfettamente l'anima del film ancor più di quelle pronunciate dai personaggi.

La casa del nonno è il simulacro ideale della memoria, della variazione nel tempo, delle relazioni, così come delle contraddizioni e del cinismo che delineano la famiglia. Situata in un luogo indefinito, che sappiamo solo non essere Seul, e ricca di ricordi come fotografie, vasi e stampe. Diviene il teatro del ricongiungimento di vari nuclei disgregati in una famiglia allargata, riunitasi attorno alla figura del nonno. Ricongiungimento e abbandono sono proprio due dei concetti chiave che aleggiano nel racconto.

La giovane Okju e il fratellino Dongju risentono ancora dell'abbandono della madre. La vivace zia ha bruscamente interrotto i rapporti con il marito. Il nonno, persona indecifrabile dalle parche parole ma che con fugaci sorrisi e piccoli gesti mostra grande umanità, si è trovato solo dopo la morte della moglie, a cui probabilmente ripensa commuovendosi in una delle scene più emozionanti, dove ritorna il tema musicale portante. Lo stesso film inizia con l'abbandono della casa dove vivono il padre e i due figli, i quali per motivi economici si trasferiscono dal nonno.

Tre generazioni si trovano ad abitare sotto lo stesso tetto e si delinea una doppia coppia di relazioni, figli-genitore e fratello-sorella. Il film procede quindi mostrando con grande delicatezza e intimità la quotidianità della famiglia, con i gesti e riti abituali che diventano grandi temi, la vita nella sua semplicità. Dormire, cucinare, svegliarsi, il litigare dei fratelli, ma soprattutto il mangiare. Sono quattro i pasti collettivi che scandiscono il film, accompagnando i momenti principali (l'arrivo nella casa, l'arrivo della zia, il compleanno del nonno e il funerale) e definendo toni e sentimenti.

Sono azioni che rinsaldano e mutano i legami o che ne creano di nuovi, come la zia, che non vedevano da molto tempo, che diventa figura materna ma anche amica e complice di Okju. La ragazza si confida con lei o riceve i suoi consigli sentimentali, come nella scena in cui stendono la biancheria. La stessa inquadratura con il filo per i panni si ripete poi nel finale, questa volta senza le due donne e senza indumenti appesi, sottolineandone la mancanza. Come a voler rimarcare la fine di quella parentesi e di quella intimità.

L'esordio di Yoon Dan-bi mostra dunque l'incedere della vita con estrema sensibilità e una semplicità che non scalfisce la complessità di sentimenti e legami, ricordando i grandi ritratti familiari di Kore'eda e Ozu. Lo fa con un'accurata costruzione visiva, basata su un'alternanza tra campi e piani medi che mantengono un certo riguardoso e rigoroso distacco dai personaggi, sempre connessi con l'ambiente circostante.

Uno dei pochi (forse l'unico) primi piani è riservato nel finale a Okju, quando si lascia andare a un pianto liberatorio conseguente ai piccoli grandi cambiamenti che l'hanno accompagnata. Nelle inquadrature finali i personaggi scompaiono dall'immagine, la casa viene mostrata vuota, il filo senza panni appesi, l'orto senza nessuno a raccoglierne i frutti. Ecco che, al fluire del tempo e della vita, il presente è diventato ricordo o sogno.