L’antinomia tra le immagini degli elicotteri che trasportano corpi di soldati feriti e martoriati verso l’ospedale da campo e le note delicate e dolci della bellissima Suicide Is Painless annunciano già dalla prima scena una delle principali caratteristiche del film di Robert Altman: il contrasto apparente tra leggerezza e tragedia, divertimento e morte, risate e guerra, scherzi e sangue, tutti elementi che in realtà convivono necessariamente e molto umanamente in situazioni estreme da esorcizzare con uno sberleffo. E tutto M.A.S.H., che racconta le imprese burlesche di tre chirurghi americani (donnaioli, bevitori ma bravissimi nel loro lavoro, interpretati da Donald Sutherland, Elliott Gould e Tom Skerritt) in un ospedale militare da campo sul fronte della guerra di Corea, è un unico grande sberleffo. Una presa in giro dell’assurdità della guerra (si scrive Corea ma si legge Vietnam, in pieno svolgimento all’uscita del film), dell’esercito con le sue ridicole regole, della religione (i personaggi bigotti interpretati da Sally Kellerman e Robert Duvall sono i più sbeffeggiati ed il prete militare è una macchietta), perfino del suicidio (genialmente dissacrante la scena del suicidio inscenato con un’ultima cena irresistibilmente comica) ed in definitiva della società americana (ad esempio nella grottesca partita di football finale).
Fin dal primo dialogo compare uno degli stilemi del cinema di Altman: le voci accavallate di diversi personaggi, che se da una parte rendono difficile la comprensione, dall’altro restituiscono quell’autenticità dei dialoghi reali che il regista ricerca, rompendo gli schemi del cinema classico. Ma tutto il film è caratterizzato da una sorta di confusione creativa. Non c’è una vera e propria trama ma un susseguirsi di episodi e sketch che danno vita ad un cinema aneddotico pieno di personaggi minori eppure tessere essenziali nel mosaico della rappresentazione.
In questo collage creativo un elemento fondamentale è la colonna sonora, a sua volta un patchwork di generi e stili. Innanzi tutto le allegre marce sinfoniche scritte da Johnny Mandel, autore anche della canzone Suicide Is Painless (presente in versione integrale all’inizio della pellicola e poi solo voce e chitarra nella scena del suicidio), un pezzo folk con echi di Simon & Garfunkel che è quasi un inno religioso tra arpeggi di chitarra, violini e cori in falsetto, ma con un testo tra l’ingenuo (le parole sono del figlio quattordicenne di Altman) e il disperato che parla di suicidio.
Poi diversi canti camerateschi e militari tradizionali come Onward, Christian Soldiers, When the Lights Go On Again, e Hail to the Chief cantati dagli attori e ancora versioni in giapponese di brani classici jazz e popolari americani degli anni cinquanta (Tokyo Shoe Shine Boy di Tasuku Sano, Hi-Lili, Hi-Lo di Bronislau Kaper e The Japanese Farewell Song di Hasegawa Yoshida), diffusi dagli altoparlanti dell’ospedale da campo.
Nove anni dopo l’uscita di M.A.S.H altri elicotteri hanno raccontato al cinema la guerra (lì esplicitamente quella del Vietnam), in una scena che sembra il contraltare di quella iniziale del film di Altman: il film era Apocalypse Now e lì gli elicotteri distruggevano e bruciavano vite nell’orgia impetuosa e feroce della Cavalcata delle Valchirie di Wagner, mentre qui le vite cercano di salvarle cullati dalla musica placida di Suicide Is Painless. Se da una parte Coppola dà vita alla più terribile e meravigliosa descrizione dell’orrore della guerra, dall’altra Altman quell’orrore lo ridicolizza. Perché se ridere è ciò che ci distingue dalle altre specie viventi, tra sangue, morti e feriti, per cercare di restare umani, la cosa migliore è ridere.