Uno sporco maglione rosso e verde, un vecchio cappello, artigli (o meglio, coltelli) al posto delle dita e il volto orribilmente ustionato: è questo l’identikit dell’uomo che perseguita Tina (Amanda Wyss) all’inizio di Nightmare – Dal profondo della notte, film culto di Wes Craven destinato a segnare l’immaginario di un’intera generazione.

Si potrebbe infatti trarre un sospiro di sollievo quando Tina urlando si sveglia nel suo letto (perché comprendiamo che la sequenza precedente era soltanto un suo sogno), ma ad incutere maggior terrore ai protagonisti e agli spettatori del film (non bastassero quell’aspetto mostruoso, la musica altrettanto spaventosa di Charles Bernstein e una cura del sonoro rara da trovare in uno slasher movie dell’epoca) sono due elementi importanti.

Il primo è rappresentato dai tagli che Tina ritrova sulla sua camicia da notte al momento del risveglio, rivelatori della possibilità che i sogni abbiano conseguenze sul mondo reale; il secondo è la presa di coscienza del fatto che lo stesso uomo è apparso in sogno anche agli amici della ragazza: Nancy (Heather Langenkamp), Rod (Nick Corri) e Glenn (un esordiente Johnny Depp alla sua prima apparizione cinematografica).

Come messo in luce da Angelo Moscariello nel dizionario del cinema Electa dedicato al genere horror, “a essere più temibile non è lo spavento suscitato da eventi subitanei, bensì l’angoscia prodotta dal lento ma inarrestabile evolversi di una vicenda dove il perturbante è riconducibile alla materializzazione di ossessioni, in un climax crescente che può risultare intollerabile per alcune sensibilità”.

Nightmare non costruisce infatti la sua tensione sui pur presenti jump scare ma sulla graduale alterazione delle regole basilari dello spazio-tempo ordinario, ovvero tramite la progressiva materializzazione del suddetto perturbante di freudiana memoria, che si applica non tanto alla figura del mostro/assassino quanto piuttosto alla terrificante interazione tra i sogni e la realtà.

Wes Craven, nella sua genialità, gioca sul fondamentale bisogno che l’essere umano ha di dormire per renderlo vulnerabile alle aggressioni della sua creatura: se in fin dei conti si potrebbe scampare a Michael Myers, è impossibile non precipitare nel mondo dei sogni. Il punto, qui, è che quanto accade negli incubi si ripercuote nella realtà: ecco perché Tina e suoi amici, sognando di venire uccisi dal mostro, muoiono davvero.

La condivisione, tra i personaggi, di elementi più o meno terrorizzanti che popolano i loro incubi è un fattore che interviene su un duplice livello. Su quello puramente narrativo serve a far comprendere che i ragazzi sono perseguitati dallo stesso mostro perché sono tutti figli di coloro che hanno ucciso un maniaco infanticida (Freddy Krueger) sfuggito alla giustizia per un cavillo legale. Freddy agisce ora nei sogni di questi ragazzi per vendicarsi di essere stato bruciato vivo (ciò spiega il suo aspetto raccapricciante). Sul piano interpretativo, inoltre, esso può rappresentare una concretizzazione filmica del concetto junghiano di “inconscio collettivo”, con tanto di archetipi (Nancy è il Bene, Freddy il Male).

Certo ai nostri occhi, quarant’anni dopo la sua uscita, Nightmare presenta alcune ingenuità: sebbene alcuni effetti speciali siano eccellenti se contestualizzati al 1984 (l’omicidio di Tina realizzato con un’intera stanza rotante, ad esempio), altri sono piuttosto grossolani (il risucchio in casa della madre nel finale) e le corse delle ragazze in fuga sono piuttosto goffe e irrealistiche.

Tuttavia, il sottotesto di questo film – che pure si inserisce perfettamente nel suo genere di appartenenza in merito all’esorcizzazione delle paure degli adolescenti di diventare adulti – permette di ritenerlo notevolmente superiore a una grandissima parte della produzione horror, anche contemporanea: bastano i concetti psicanalitici citati (a cui va aggiunto quantomeno un ritorno del rimosso “trans-generazionale” alla base degli omicidi) a impedire di considerarlo uno dei tanti horror o slasher che andavano di moda negli anni Ottanta.

La regia di Wes Craven è ottima, la fotografia di Jacques Haitkin eccellente e un personaggio come Freddy aveva il giusto appeal per richiamare il pubblico in sala: costato poco più di un milione di dollari, il film ne incassò oltre 56 in tutto il mondo, permettendo alla casa produttrice New Line Cinema di fissare solide basi per il proprio futuro e avviare un vero e proprio franchise sul personaggio di Freddy Krueger.

Dopo sei sequel (due dei quali diretti ancora da Wes Craven), una serie (Freddy’s Nightmares), un crossover (Freddy vs Jason, 2003), un omonimo remake nel 2010 diretto da Samuel Bayer, numerosi fan products e parodie anche porno (!), periodicamente ritorna in auge l’ipotesi di altri seguiti o reboot: chi non dormirà vedrà.