Paul B. Preciado non lo voleva fare, questo documentario. Al punto che lo stesso filosofo queer definisce il suo esordio alla regia nato per “scherzo”: contattato da produttori che volevano realizzare un film sulla sua vita, Preciado ha posto condizioni che gli sembravano assurde, pur di non dare loro il via libera.

“A un certo punto, per tagliare la testa al toro, ho detto: ‘Va bene. Se volete fare un film su di me, bisognerà fare un adattamento documentaristico di Orlando di Virginia Woolf’”, racconta lo stesso Preciado. “Per me era la battuta finale, ma i produttori l’hanno trovata un’idea geniale e hanno voluto che la realizzassi io”. Perché accettare, allora? “Innanzitutto, perché forse lo avrebbero fatto comunque. E poi, in fondo, mi rendo conto di essere spesso in luoghi e posizioni dove non ci si aspetterebbe di trovarmi”.

L’idea di “intrufolarsi” in spazi abitati da categorie ben definite per occuparli e metterli in discussione è una costante nelle opere di Preciado; per lui, filosofo, uomo trans e “dissidente del sistema sesso-genere”, il personale è inevitabilmente politico. E proprio sul rifiuto del dogma della categoria Preciado imposta Orlando, la mia biografia politica, lungometraggio distribuito in Italia da Fandango che ibrida documentario, fiction, biografia e autofiction. Come richiesto quasi per scherzo, il punto di partenza è davvero Orlando, il romanzo di Woolf sul poeta che, semplicemente addormentandosi, cambia sesso.

Quel personaggio, scrive Preciado alla stessa Virginia in apertura al documentario, non è mai stato solo una finzione: “Qualcunə un giorno mi ha chiesto perché non scrivessi la mia autobiografia. Ho risposto: perché Virginia Woolf l’ha scritta per me nel 1928. Io sono uno dei tuoi Orlando, sono vivo e stiamo cambiando il corso della storia”. Woolf non avrebbe potuto saperlo, aggiunge il filosofo, ma il mondo di oggi è pieno di Orlando che rifiutano il binarismo di genere e non si riconoscono nelle categorie imposte dalla società in cui sono nate; persone che non hanno vissuto il lusso di addormentarsi e risvegliarsi nel corpo che avrebbero voluto, e che devono invece costruire la loro identità faticosamente, combattendo passo dopo passo contro la violenza di un sistema che non vuole riconoscerle.

Partendo proprio dalla pluralità concreta di un’esperienza come quella di Orlando, il Preciado regista decostruisce quindi il concetto stesso di autobiografia, facendosi narratore dalla propria storia ma affidandone la messa in scena a venticinque altrə “Orlando”. La vita di quel personaggio collettivo è allora rappresentata da diverse persone trans e non binarie, di età compresa tra gli 8 e i 70 anni, che intrecciano giocosamente le proprie vicende personali con la storia narrata da Virginia Woolf e restituiscono così una condizione di alterità che attraversa le generazioni.

L’obiettivo, già anticipato dal titolo, è costruire una biografia politica in cui la propria storia non consista semplicemente nel racconto di una vita individuale, bensì collettiva. Lo stesso Preciado rivendicava la pluralità della propria esperienza in Sono un mostro che vi parla: “L’esperienza trans è un turbine di energia di trasformazione che ricodifica tutti i significanti politici e culturali", scriveva. "Sono il lettore il cui corpo si fa libro. Sono l’adolescente che bacia una ragazza dietro la porta della chiesa. Sono la lesbica dalla testa rasata che assiste ai seminari Bdsm a Manhattan. Sono la persona che rifiuta di identificarsi come donna e si somministra piccole dosi di testosterone ogni giorno. Sono un Orlando la cui scrittura è diventata chimica”.

Quando sei dissidente, ci ricorda insomma Preciado in Orlando, la tua esistenza è una lotta; il tuo corpo, il terreno su cui si svolge la battaglia; la tua storia, la storia di tuttə lə dissidenti come te. Portare avanti un racconto collettivo, quindi, è un dovere: perché è necessario sopravvivere alla violenza per raccontare la propria storia, ma anche perché è necessario raccontare la propria storia per sopravvivere alla violenza.