Peter di Hermann Kosterlitz è un film che secondo Lukas Foerster rappresenta bene le commedie tra il 1933-1937 create da tedeschi in esilio a causa dell’avvento del nazismo. Nuovamente sfrattati da un appartamento, Eva Wild (Franziska Gaal) e suo nonno (Felix Bressart) cercano di trovare degli impieghi per racimolare qualche soldo suonando e cantando una melodia di strada.

Il cantante è un furfante che, cercando di scappare dalla polizia, si imbatte casualmente nel duo e deruba Eva del suo unico abito, lasciandola vestita con abiti maschili. A quel punto la ragazza trasformatasi in Peter compra dei giornali e inizia a rivenderli all’angolo della strada, ma per colpa di un uomo pignolo finisce in tribunale, il primo passo per una serie di equivoci.

Va sottolineato che in Peter la commedia en travesti sfrutta il mascheramento per ottenere vantaggi e soprattutto cambiare le cose nel mondo di questi personaggi, come rimarca Lukas Foerster. Peter è molto più libero, intraprendente e sfacciato rispetto ad Eva che invece è più timida, rispettosa e piagnucolosa. Il momento più alto della commedia arriva però quando le due parti si fondono ed Eva/Peter riesce persino a derubare il furfante che le aveva sottratto il vestito, diventando quindi più abile del maestro.

Non siamo più nella Germania della Repubblica di Weimar, ma abbiamo davanti registi, autori, attori e altri operatori cinematografici tedeschi, qui in esilio perché ebrei, che hanno però vissuto quel periodo e che soprattutto erano in vetta all’interno del settore cinematografico. Essi riuscirono comunque a portare altrove l’impronta delle loro precedenti produzioni e quindi una certa continuità sia in termini linguistici, sia in termini di costruzione narrativa e filmica. Per i motivi sopracitati questo tipo di commedie musicali vennero prodotte in Austria, Ungheria, e Cecoslovacchia, rifugi temporanei per alcuni di quelli che poi emigrarono negli Stati Uniti, ma non per altri che finirono uccisi nei campi di concentramento.

Nel caso di Peter, co-produzione Austria e Ungheria, il cinema dell’esilio ha portato a una certa continuità anche con la modernità in termini di ideologie di genere. Infatti Franziska Gaal interpreta magnificamente questo doppio ruolo e le sue espressioni irriverenti e scaltre fanno pensare a quelle di un’attrice più contemporanea come Shirley MacLaine. Tuttavia le sue movenze e i modi ricordano, con meno grazia (complice anche il ruolo), Julie Andrews nella versione di Victor/Victoria diretta da Blake Edwards.

Va anche ricordato che ad un certo punto del film la curiosità e l’affetto per un ragazzetto irriverente può diventare amore per la ragazza che si nasconde negli abiti maschili, con anche la possibilità che, tutto sommato, il vestiario e l’aspetto possono non solo trarre in inganno, ma addirittura confondere e creare situazioni potenzialmente imbarazzanti e assolutamente esilaranti. In Peter ci sono tre canzoni che accompagnano e scandiscono il film in momenti cardine che si sposano con gli intenti dei personaggi e gli eventi trasformando questa pellicola in un buon musical, usciti dalla sala i motivetti continuano a tornare in mente.

L’umorismo di Peter è, come altre commedie precedenti e le contemporanee di matrice tedesca, estremamente sovversivo. Chi si adatta alla perfezione è Felix Bressart, sempre a suo agio in ruoli tragicomici, magari piccoli, ma indimenticabili, qui in Peter come anche in Ninotchka, Scrivimi fermo posta e Vogliamo vivere!, diretto in questi ultimi da Ernst Lubitsch.