Un giorno Dio creò l'uomo e fu il primo sguardo. Al suo meglio il cinema ci restituisce uno sguardo sul mondo come se fosse la prima volta che lo vediamo. In Povere Creature! l'identificazione con lo sguardo della “idiota” Bella Baxter permette a ogni nuova scena un'esperienza di questo tipo in una screwball post-umanista che si fa grande destrutturazione delle colonne portanti su cui si regge la convivenza umana: famiglia, denaro, matrimonio, identità, uomo, donna, Dio, umanità. Nulla può più rimanere stabile, tutto eccede e così si aprono nuove vie all'immaginazione.

Il folle dottor Godwin Baxter vuole sfidare i limiti della conoscenza umana con i suoi esperimenti. Una sfida anche all'idea di animalità: nel suo giardino scorrazzano creature assemblate in laboratorio, incroci tra animali. In realtà quel che desidera è esorcizzare per sempre la morte: la stessa Bella è una giovane donna suicida a cui Dio (così si soprannomina da solo il dottore) vuole dare una seconda chance. Per questo le innesta un cervello di bambino, rinnovando la sua identità. Solo un bambino può fare esperienza di vedere veramente per la prima volta. O, meglio, solo uno sguardo infantile.

Allo sguardo “infantile” dei Lumiére il cinema narrativo nel suo sviluppo ha sostituito lo sguardo del grande artista “divino”: Wiene, Murnau, Lang. La regia come matrice del mondo. La prima parte del film si svolge tutta nella residenza del dottor Baxter dove questi tiene imprigionate le sue creazioni. In accordo a ciò Lanthimos sceglie soluzioni registiche espressioniste con chiari riferimenti anche al primo gothic horror americano (il Jekyll di Mamoulian, il Frankenstein di Whale): ambienti deformati, esagerati grandangoli, prospettiva oculare e accentuato chiaroscuro del bianco e nero. Un mondo a forma del Dio padre padrone, come già in Dogtooth.

Ma la carne chiama. E come nel Jekyll di Mamoulian il mostro che Dio crea si rivela tanto santo quanto arrapato. Difatti Dio è troppo preso dai suoi esperimenti per infondere raziocinio, per educare propriamente. Bella è goffa, il suo portamento è sempre in precario equilibrio. Bella è un esperimento di una nuova umanità, la quale deve fondarsi sull'esperienza sensoriale. Vedere per la prima volta è prima di tutto un piacere. Ma così è anche masturbarsi, così anche fornicare. E Bella proprio non comprende come sia possibile che l'umanità tutta non si fondi sulla fornicazione!

Bella fugge. A differenza dei figli in Dogtooth, scopre la realtà. E scopre quanto colorata e cinematografica sia! Nel cinema la standardizzazione del colore avrebbe dovuto rendere ancora più mimetica l'immagine cinematografica, invece rivelò la natura pittorica della realtà stessa. E così Bella fugge in navi che fumano nuvole viola, vive in un'astratta Parigi dai colori accesissimi. Fugge con l'amante, l'avvocato Duncan Wedderburn, per fornicare, fornicare e ancora fornicare. Ma anche l'uomo ha dei limiti, così scopre la prostituzione.

La travagliata love story con l'avvocato è fatta di irresistibili momenti di pura gestualità, attimi di silenzio in cui il minimo movimento corporeo parla scardinando l'intero impianto verbo-linguistico del pensiero umano. Bella scopre anche il socialismo e con questo il concetto di emancipazione. Vuole salvare il mondo, ma dovrà infine salvarsi letteralmente da se stessa. Lo spirito iconoclasta della protagonista sfida ogni identità solo attraverso il proprio corpo.

Svincolata da ogni identità stabile, dispensata dalla pulsione definitoria del linguaggio, non resta a Bella che crearsi un nuovo Eden, rifondare una nuova umanità in cui l'eccesso è norma. Lunga vita alle povere creature!