Un solitario cavalleggero, un attempato cacciatore seguito dal fidato segugio, un escursionista meticolosamente coperto, la maestosa panoramica di una distesa ghiacciata infiammata dalla corsa di bambini.

Sono alcuni degli scatti con cui il maestro d'educazione artistica Samet immortala un rapporto, quello tra l'uomo e il paesaggio circostante. Un leggero zoom in avanti ci riavvicina a questi personaggi altrimenti sovrastati dalle solenni montagne dell'Anatolia orientale, la gabbia montuosa in cui i sogni illuministici del maestro sono andati a morire. Ora lo zoom stringe sulla sua giovane allieva Sevim, mentre la neve continua a cadere indifferente. Non è una fotografia, ma una visione, l'utopia di un'innocenza possibile.

Nella classe delle scuole medie in cui insegna, un alunno chiede a Samet se stavolta può disegnare il mare, nonostante non l'abbia mai visto di persona, anziché le solite figure caratteristiche dei loro luoghi. Il maestro, ormai abituato alla fredda duplicazione realistica della macchina fotografica, sembra riluttante: in queste terre inospitali, le cui bufere congelano la ragione, che spazio può avere l'immaginazione?

Nelle sue fotografie, come nelle sue lezioni, l'unica intenzione di Samet sembra quella di prendere posizione rispetto a uno spazio che lo sta condannando a una vita infelice. Tuttavia qualcosa sfugge alla sua presunzione di superiorità, qualcosa che solo lo sguardo penetrante di Ceylan riesce a cogliere: dopo una carrellata di nuove riproduzioni fotografiche ecco uno stacco sul corpo del maestro tormentato nel sonno.

Ancor più ostili risultano essere gli ambienti umani che attraversa, a cominciare dalla sua caotica postazione di lavoro, preferita alla sovraffollata sala professori. Eppure, è proprio nel suo angusto studio che si compiono i pochi atti di solidarietà che ancora riesce a concepire: all'insaputa delle autorità scolastiche regala ai suoi alunni scarponi, materassi, giacche e tutto ciò che trova in giro.

È però una innocente lettera di Sevim a gettarlo in una voragine di sospetti e condanne morali all'interno di una comunità chiusa che monitora ogni rapporto intimo. Disinteressato a contestare il potere, Samet finisce per replicarlo nel microcosmo della classe avventandosi violentemente contro le velleità d'emancipazione dei suoi alunni.

Anche i luoghi più protetti e innocenti subiscono l'influsso negativo dei turbamenti del maestro: una sorgente dove si incontra spesso con il collega e coinquilino Kenan si trasforma in un rifugio per le loro paranoie; la propria stessa casa diventa teatro di una guerra fredda nel momento in cui Kenan scopre del rapporto intimo dell'amico con Nuray, una donna che gli aveva fatto conoscere e di cui si era evidentemente innamorato. È il gelido inverno turco a gettare nella tristezza l'umano, o forse è la mediocrità di questi individui, talmente disillusi da abbandonare ogni traccia di empatia?

Forse solo lasciando alla natura fare il suo giro qualcosa di sé può rivelarsi e rendersi cosciente. Come suo solito, Ceylan trascina lo spettatore all'esperienza di una durata immergendolo in estenuanti disfide dialettiche e pittorici squarci paesaggistici, ma è solo attraverso questa pratica di attento ascolto e di osservazione contemplativa che qualcosa come una lezione può compiersi: così trascorsa la fredda stagione, camminando sulla secca erba falcidiata dal gelo Samet si renderà conto di aver sempre vagato nel deserto della sua anima.