Mia (Virginie Efira), giornalista e interprete di lingua russa, vive a Parigi con il compagno Vincent (Grégoire Colin), medico. Una sera, lasciata sola dall’uomo per un’emergenza in ospedale, prima di rincasare, decide di fermarsi in un locale del centro. D’improvviso, la vita cambia senza avvisare. Se Mia, nonostante le ferite, ne uscirà indenne, decine di persone, tra lavoratori e frequentatori del ristorante, muoiono durante un attentato terroristico. Nelle settimane successive, indelebilmente segnata dall’evento, Mia rimuove non solo i particolari riguardanti gli attimi precedenti l’attacco, ma anche chi l’ha salvata, offrendole una seconda opportunità. Nel tentativo di recuperare i ricordi di quella sera e di ridare un senso alla sua esistenza, la donna ripercorrerà le strade di Parigi interrogandosi sulle sue scelte, vagando alla ricerca della persona con cui ha condiviso i momenti peggiori.
Ispirato all’esperienza vissuta dal fratello della regista, anche Riabbracciare Parigi, ultimo film di Alice Winocour (Proxima), non diversamente da due pellicole recentissime, Novembre di Cédric Jimenez e Un anno, una notte di Isaki Lacuesta, prende spunto, pur senza farne esplicitamente menzione, dagli attentati del 13 novembre 2015. Discostandosi, tuttavia, sia dalle opere appena citate, sia da un’importante raccolta di articoli quale V13, attraverso cui Emmanuel Carrère ha riunito da una parte le testimonianze offerte da superstiti e parenti delle vittime, dall’altra illustrato la follia alla base del piano concepito dagli imputati.
Difatti, Riabbracciare Parigi, più che porsi come il racconto di un trauma collettivo, si rivela una storia di crescita e rinascita personale, nonostante alcune brevi parentesi disposte a descrivere tale rielaborazione del lutto attraverso ulteriori punti di vista. Incontriamo, per esempio, una ragazza, figlia di due genitori uccisi, desiderosa di riallacciare i rapporti, seppure post mortem, osservando ciò che osservarono prima di morire, cioè il ciclo delle Ninfee di Monet all’interno del Musée de l’Orangerie. Un passaggio piuttosto commovente, considerato il valore simbolico di “monumento alla pace” del murale, da donare allo Stato una volta terminata la Prima guerra mondiale, intenzione manifestata, in forma epistolare, all’allora Presidente del Consiglio dei Ministri Georges Clemenceau.
Ad ogni modo, al di là di piccoli intermezzi, la protagonista è Mia. Interpretata da una Virginie Efira, premiata col César, che modella il suo personaggio per sottrazione, conferendole, oltre all’insicurezza di una sopravvissuta accudita dagli amici con un riguardo ipocrita, sincerità. L’umiltà di chi, prima del “ritorno a casa”, non esiti a porre e porsi domande in continuazione, a rovesciare il proprio mondo, le proprie certezze. Mia si ritrova a dover ricominciare dal principio. Contro la sua volontà, Mia non ha più una città in cui identificarsi.
Dall’iniziale disinvoltura con cui guadava la capitale in sella alla sua Triumph, vediamo Mia acquattarsi nel buio di una stanza, dopo aver conosciuto il fantasma d’una vittima, intenta a osservarla immobile. Dall’elasticità spontanea impiegata per passare, senza tergiversare, dal francese al russo, e viceversa, la donna, provvista di brandelli di memoria, avvertirà una claustrofobia inesprimibile, quando invitata a partecipare a un gruppo di sostegno.
Tale senso di spaesamento, sotto quest’aspetto, ricorda la scrittura del personaggio di Charlotte Gainsbourg (Élisabeth) in I passeggeri della notte di Mikhaël Hers, uscito nelle sale negli scorsi mesi. Un altro film accompagnato da diverse inquadrature dedicate alla metropoli, anch’esso incasellato in un preciso contesto storico, le elezioni presidenziali indette nel 1981, vinte, al secondo turno, da François Mitterrand. Diversamente da Mia, Élisabeth, sconfitto un tumore al seno, dovrà fare i conti con la separazione dal marito, sorgendo, inoltre, l’esigenza di trovare un lavoro. Curiosamente, se in una delle prime scene di Riabbracciare Parigi viene mostrata, in tutta la sua ordinarietà, una trasmissione radiofonica, in cui interviene la mia Mia traduttrice, per Élisabeth una trasmissione radiofonica rappresenterà la salvezza. Infatti, la voce di Élisabeth, assunta come centralinista, fiorirà, insieme alle tante incoraggiate dalla conduttrice Vanda Dorval (Emmanuelle Beart) a parlare di sé. Quella di Mia, comprensibilmente sommessa, sembra affievolirsi, sciogliendosi, infine, nel ringraziare Assane (Amadou Mbow) per averle tenuta la mano, in una sorta di ideale chiusura del cerchio.
In Riabbracciare Parigi, caratterizzato da una sceneggiatura eccessivamente calcolata per risultare un ritratto di signora universalmente riconoscibile, manca una dimensione corale, appena abbozzata attraverso una serie di profili (tra i quali, citiamo, oltre ad Assane e Vincent, Madeleine e Félicia) troppo brevemente delineati per familiarizzarci. In aggiunta, è trascurato il lato politico della vicenda, privilegiando una narrazione, seppur intima, didascalica. A differenza della folla che si riversa per le strade di Parigi alla notizia della vittoria di Mitterrand in I passeggeri della notte, avvenimento commentato anche attraverso l’utilizzo d’immagini d’archivio, qui viene meno la consapevolezza di vivere all’interno della Storia.
Una lacuna che, potenzialmente, presta il fianco alla tentazione di riassumere la pellicola negli stessi termini con cui, parafrasando in parte il cortometraggio di Wes Anderson, Roald Dahl/Ralph Fiennes, presentando allo spettatore Henry Sugar, definisce il suo antieroe “semplicemente parte dell’arredo”.