In un testo del 1988 dedicato a una rilettura femminista di Mary Shelley, la studiosa Anne K. Mellor mette in relazione la scrittura di Frankenstein con diversi sogni fatti dalla sua autrice pochi mesi dopo aver subito un aborto: “Ho sognato che il mio bambino tornava in vita – scriveva Shelley nel suo diario – Ho sognato che aveva solo freddo, che lo scaldavamo vicino al fuoco, e che tornava in vita. Mi sono svegliata, non c’era nessun bambino”.
Secondo Mellor, uno dei motivi per cui Frankenstein ha avuto un tale impatto sulla letteratura occidentale risiede nella novità del tema. Nessun autore, uomo o donna, aveva rappresentato prima di allora le angosce legate alla gravidanza come è riuscita a fare Shelley, intrecciando considerazioni sulla responsabilità della scienza nei confronti delle sue scoperte, riflessioni sul ruolo maschile e femminile nella genitorialità e rassicurazioni sul fatto che i sentimenti più terribili legati alla gravidanza siano un’esperienza universalmente femminile.
Nonostante sia una storia di uomini e di mostri – una storia in cui il maschile non è neutro –, Frankenstein si delinea quindi come una delle prime riflessioni sull’esperienza femminile e sul rapporto con il proprio corpo, nonché con la vita che ne può derivare.
Il motore primo di Frankenstein è il fallimento genitoriale: dopo nove mesi passati a creare il mostro e a dargli vita, il dottore rifiuta il suo ruolo di genitore e la possibilità di provare empatia verso il neo-nato, scappando dalla sua stessa creazione. Povere creature! è profondamente debitore al romanzo di Shelley. La vicenda parte dalla premessa opposta e si chiede: cosa sarebbe accaduto se il genitore del mostro si fosse assunto la responsabilità di ciò che ha creato? E cosa accadrebbe se la creatura fosse una donna?
Godwin Baxter (Willem Dafoe) – il cui nome, oltre ad essere abbreviato da lui stesso in un evocativo “God”, è un omaggio al padre di Mary Shelley, il filosofo William Godwin – è uno scienziato che trapianta in una donna morta suicida il cervello del feto che portava in grembo. Il risultato è Bella Baxter (Emma Stone), una giovane donna nei suoi vent’anni con l’animo e il raziocinio di un neonato. Bella è una creatura curiosa, che apprende molto velocemente dal mondo che la circonda; in ogni scena c’è in lei qualcosa di nuovo, un elemento che prima non c’era: una struttura sintattica più avanzata, un modo diverso di camminare o di sedere, un vocabolo lessicalmente più preciso, una domanda che mette in discussione un aspetto differente dell’esistenza umana.
Godwin protegge e cresce Bella finché può, ma la sete di conoscenza della ragazza non può essere rinchiusa in quattro mura; lo scienziato le permette così di scappare con l’avvocato Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), con il quale esplora l’Europa e scopre i confini e l’assurdità delle convenzioni sociali. La vera crescita inizia qui: lasciata libera dal suo genitore di scoprirsi e di scoprire il mondo, la “povera creatura” impara sempre più velocemente, entrando per la prima volta in contatto con dolore, sesso, privilegio, ruoli di genere ed etichette sociali.
La storia di formazione di Bella va di pari passo con la riappropriazione del suo corpo: da suicida intrappolata in una vita che non vuole, Bella rinasce in una donna che rifiuta le illogiche imposizioni della società vittoriana e rivendica il suo diritto ad essere compassionevole, eccentrica, sessualmente libera. Gli uomini intorno a lei cercano di opporsi a questa crescita personale, spacciando la sua innocenza come una purezza da preservare e non – come realmente è – come uno strumento per controllarla meglio. Ma a Bella non importa di cosa il mondo, specialmente maschile, pensa di lei, e abbraccia ogni etichetta denigratoria le venga affidata, arrivando a lavorare con orgoglio in un bordello per mantenersi da sola.
In Ripartire dal desiderio, la critica Elisa Cuter scrive: “Ho sempre preferito, istintivamente, sentirmi una troia piuttosto che una femmina. Forse perché quella di troia è una definizione che implica una condotta, e dunque una forma di arbitrio, di scelta, di agency. Mentre la condizione di ‘femmina’ non è qualcosa che io abbia mai scelto attivamente: è una casualità, una contingenza in cui mi trovo”. Ritrovatasi per la seconda volta nella contingenza di essere viva e di essere donna, Bella Baxter riparte letteralmente dal desiderio, rivendicando la propria agency e rifiutando la possibilità di un “No” come risposta a ciò che vuole.
E se è vero ciò che sosteneva Rosseau – “Un uomo abbandonato a se stesso fino dalla nascita in mezzo ai suoi simili sarebbe il più deforme di tutti” –, la storia di Bella Baxter sembra suggerire che, invece, una donna lasciata a se stessa fino dalla nascita in mezzo ai suoi simili sarebbe la creatura più fiera, feroce e temibile di tutte.