Protetti dal silenzio di una notte qualunque, un uomo e una donna si svegliano. Gli occhi di lui, brillanti, cercano quelli di lei, alzatasi, ma ancora in camera. Che è successo, cosa ci facciamo qui, si chiede l’uomo. Come se si fossero appena conosciuti, l’uomo si presenta. Si chiama Augusto Góngora. La donna, assecondandolo, gli stringe lieta la mano, badando a non sbagliare la pronuncia del cognome. Lei si chiama Paulina Urrutia. Sostenuta da una pazienza eroica, Paulina rende partecipe un Augusto curioso, indifeso. La sua missione sarà aiutarlo a ricordare chi è stato prima della malattia. Per il tempo concesso, gli sarà vicino, non lo abbandonerà.
La vita di Augusto Góngora, giornalista politicamente impegnato nel Cile di Pinochet, e Paulina Urrutia, attrice che, nei primi anni Duemila, ricoprì l’incarico di Ministra del Consiglio Nazionale per la Cultura e le Arti, è stravolta quando a lui viene diagnosticato l’Alzheimer. Giorno dopo giorno, i due affrontano questa sfida a testa bassa, affidandosi al tenero affetto e al senso dell’umorismo.
Maite Alberdi non è una regista nuova a simili indagini. Adottato il linguaggio e le tecniche espressive del cinema-verità fin dall’esordio El Salvavidas (2011), è Tea Time (2014) la prima esplorazione nel grande tema della vecchiaia. Utilizzando un’ironia che non le ha impedito di ritrarre i suoi personaggi con estrema sensibilità, Alberdi già in quell’occasione seppe rappresentare sia il rituale dell’ora del tè osservato dalle cinque signore protagoniste nell’arco di sessant’anni sia i cambiamenti sociopolitici attraversati. In ugual misura storia coinvolgente e agrodolce, il successivo The Grown-Ups (2016), nel quale un gruppo d’amici affetti da sindrome di Down deve affrontare la frustrazione di frequentare la stessa scuola da oltre quarant’anni e l’esclusione dall’universo degli adulti.
Senza dimenticare il cortometraggio I’m Not From Here, in cui si possono individuare diversi elementi riscontrabili in The Eternal Memory, lo stile di Alberdi raggiunge una meritata notorietà internazionale con The Mole Agent (2020). Profondamente originale e candidato all’Oscar, quest’ultimo era incentrato sulla figura di Sergio Chamy, un anziano infiltrato, assunto da un investigatore privato, inviato all’interno di un ospizio per verificare le condizioni di salute di una residente.
D’accordo, The Eternal Memory, al pari delle precedenti opere, è permeato di amare ironie, oltretutto fortuite. Nella fase immediatamente successiva alla comunicazione della diagnosi, la personalità di Góngora sembra resistere, osservando, con il dolore del dissidente pieno di cicatrici, la moglie impersonare sul palcoscenico un’oppositrice del regime. Successivamente, debilitato dal progredire della malattia, si chiederà, aggrappandosi ancora al ricordo delle conversazioni con il regista Raúl Ruiz, che lo scritturò in occasione della realizzazione di La recta provincia, che fine farà la sua biblioteca. Un interrogativo che, descritto con altrettanta delicatezza nel recente, semi-autobiografico Un bel mattino, diretto da Mia Hansen-Løve, e in passato, con ancora più rigore, in Le invasioni barbariche di Denys Arcand, getterà nell’angoscia Góngora.
Poiché da tempo Augusto aveva smesso i panni del giovane inviato intravisto nei primi minuti di pellicola, curiosamente simile nell’aspetto al protagonista di No – I giorni dell’arcobaleno, diretto da un altro artista influenzato dalla figura di Pinochet, Pablo Larraín. Poiché da tempo Góngora era lo stimato intellettuale autore, insieme a colleghi quali Gustavo Villalobos e Carmen Quesney, dell’opera Chile: la memoria prohibida. Un uomo, in sintesi, che dedicò la propria esistenza a tramandare la ricostruzione sia delle violazioni dei diritti umani sia delle battaglie intraprese per riconquistare la democrazia.
Inoltre, la discrezione e la distanza, registicamente parlando, adottate da Alberdi, che ha affidato la maggior parte delle riprese a Urrutia, rientrano tra le innumerevoli conseguenze determinate dalla diffusione del covid. Il risultato è il ritratto struggente e sincero di una persona, un tempo regista in famiglia di home movies, confinata nella sua stessa casa. Sprovvista della sua memoria, della sua identità. Non solo ugualmente lontana da figli e amici, invocati disperatamente davanti a una finestra buia, ma anche irrimediabilmente incapace di riconoscere la moglie Paulina, sempre al suo fianco, stoicamente pronta a tenergli la mano, a proteggerlo dagli incubi.
Tuttavia, a differenza di ulteriori pellicole quali Amour (2012), The Father (2020) e Vortex (2021), allo sguardo di Maite Alberdi non interessa lo scandaglio dettagliato di un declino inevitabile. Nonostante la rilevanza dell’elemento della memoria, oltre che individuale, soprattutto collettiva, parlando di una nazione segnata dalla dittatura presieduta dall’altro Augusto, altrettanto essenziale emerge il tema dell’amore. Difatti, The Eternal Memory si rivela il ritratto di un amore reale, raccontato onestamente, scevro dal sensazionalismo. Un’unione potente come le storie diventate universali.
L’augurio è che il pubblico percepisca la tenacia dei protagonisti nel dibattersi tra le maglie della prosa nervosa della vita, che intanto procede per trionfi e disastri, due impostori, secondo Rudyard Kipling, da trattare allo stesso modo. In tal senso, occorre citare la dedica di Góngora alla moglie in La memoria prohibida: “La memoria è ancora proibita. Tuttavia, questo libro è testardo. Il coraggio è di chi conserva la memoria, di chi semina conoscenza. Come te". Come recita Love, cantata da Nancy Adams in Robin Hood, l’amore sopravvivrà, anche se la vita ha una fine.