È il 1960 quando un bambino, nascosto nel porcile, assiste inerme alla morte dei suoi genitori di cui non potrà più vedere il volto. Il seme del male ormai è piantato e quel ragazzino è diventato Michele Malatesta, una feroce e irrefrenabile bestia assetata di sangue che ha deciso di vendicare l’onore della sua casata eliminando una persona o meglio un viso dietro l’altro.
Sul promontorio del Gargano la faida tra la famiglia Malatesta e quella dei Camporeale sembra essersi placata e vige un clima di stasi ponderosa grazie anche all’eccezionale bianco e nero dato dalla fotografia di Michele D’Attanasio. La famiglia Montanari, di cui il capo è interpretato da Michele Placido, contribuisce a mantenere l’equilibrio tra le due parti, cercando di mediare e di non schierarsi apertamente. Andrea Malatesta, il primo figlio di Michele, si innamora perdutamente di Marilena, moglie di Santo Camporeale, e insieme decidono di fuggire scatenando l’ira delle rispettive famiglie.
Ti mangio il cuore, tratto dall'omonimo romanzo d'inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, si svolge in un un universo chiuso in sé stesso fatto di masserie, campi, paesi arroccati, allevamenti, sterco e fango, sembra non esistere qualcos’altro oltre il promontorio. La regia di Pippo Mezzapesa spesso si sofferma sui primi piani delle persone che con il Gargano sono diventati un tutt’uno e a tratti questa scelta può portare a pensare alle significative inquadrature di Daniele Ciprì e Franco Maresco in Totò che visse due volte o anche de Lo zio di Brooklyn. Un riferimento che sorge spontaneo soprattutto per la scelta e l’uso del bianco e nero nitido e aggressivo e della scenografia che non ha nulla della Puglia solare e ospitale, ma che comunque non è estrema e radicale come la Sicilia di Ciprí e Maresco. Infatti Mezzapesa costruisce un film di mafia che, usando un codice linguistico e retorico ben noto e condiviso, oscilla tra sfumature drammatiche con tratti da commedia. Mezzapesa insiste, ad esempio, sulla similitudine tra uomo e animale e sottolinea che il secondo è meno bestiale del primo.
In Ti mangio il cuore le cicatrici e i segni del tempo sui volti e le tradizioni sembrano incontrastabili e immutabili, solo Marilena non vi appartiene. Lei è una donna che suscita gli odi di chi la circonda e soprattutto di chi è evidentemente annientato dall’impossibilità di liberarsi dalle radici. La donna interpretata dall’esordiente Elodie, che sembra esserle stata cucita addosso, è una figura davvero interessante ed è stata subito simbolicamente collegata a Elena di Troia o alla Giulietta di Shakespeare, con le quali ha effettivamente tratti superficiali in comune, ma molto condivide anche con Lucia de I promessi sposi e soprattutto con Lady Macbeth.
Marilena e Andrea sono personaggi che compiono tra il primo e il secondo tempo una grande evoluzione e nonostante la prolissità di alcuni momenti la narrazione, accompagnata dalle musiche di Theo Teardo, procede viscerale nel bene e nel male.