D’accordo, Art City è finito da qualche giorno. Ma a noi di Cinefilia Ritrovata è rimasto in mente un bel programma, di quelli che ha curato Rinaldo Censi, “Esporre musei”. Un palinsesto molto suggestivo: un segmento tratto da Looney Tunes: Back in Action di Joe Dante (2003), seguito da Une visite au Louvre di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet (2004) e The Old Place di Jean-Luc Godard e Anne-Marie Miéville (1998).
Le tre pellicole sono più collegate di quanto non si creda. Non sono soltanto, semplicemente, tre esempi di esposizione del museo in ambito cinematografico. La loro selezione crea un percorso preciso in quanto rappresentano tre varianti d’immersione nell’arte.
Nel primo (Looney Tunes: Back in Action) i Looney Tunes entrano fisicamente nei quadri del Louvre e con follia anarcoide li scherniscono e ne compiono la destrutturazione. È in questi piccoli e apparentemente innocui gesti in realtà intelligentemente sovversivi che emerge con maggiore evidenza la furia pop iconoclastica dei personaggi di Chuck Jones (elemento che da sempre li ha messi in netta contrapposizione con la banda di Topolino di Walt Disney). Bugs Bunny, Daffy Duck e Taddeo entrano ed escono dai quadri facendosi contaminare nella forma ma corrompendo gli stessi nel contenuto portando ad esempio L’urlo a gridare non tanto per rappresentare l’angoscia di Edward Munch quanto per la sorpresa di vedere un coniglio e un’anatra parlanti.
Nel secondo (Une visite au Louvre) è lo spettatore ad entrare nei quadri attraverso le riprese fisse tra le sale del Louvre e la voce fuori campo di Paul Cézanne (interpretato da Julie Koltaï). Quest’ultima ci parla dei quadri, ce li racconta, descrive e spiega con trasporto e passione. Grazie ad essa entriamo in contatto con la realtà del quadro. Siamo noi Bugs Bunny e Daffy Duck questa volta ma invece di sovvertire il linguaggio dell’opera con irriverenza fanciullesca ne rimaniamo estasiati e contempliamo in silenzio la sua magnificenza. Impossibile non restare di stucco ad esempio con le dettagliate riflessioni durante Le nozze di Cana di Paolo Caliari detto il Veronese.
Nel terzo (The Old Place), infine, due voci, Godard e Miéville, ci accompagnano attraverso svariati stralci di storia umana cercando di spiegare l’umanità attraverso l’arte. Il documentario incorpora una grande quantità di immagini (famose fotografie , segmenti di pellicole di vari periodi storici e filmati originali girati ex novo) e contiene una fiumana di citazioni testuali (Simone de Beauvoir, Thomas Mann, Henri Bergson, Jorge Luis Borges). Ma le voci fuori campo non parlano di ciò che vediamo, non spiegano quello che passa davanti ai nostri occhi come nel secondo film. Qui è il contrario. Le parole dicono una cosa e l’arte tenta una spiegazione. È l’ennesimo tentativo di Godard di dare risposte alle nostre domande attraverso la citazione, una delle possibili soluzioni alla totale passività del fruitore: dinnanzi all’enorme flusso continuo di dati l’artista sceglie qualcosa e crea un collegamento testuale nella sua opera in modo che il pubblico capisca l’importanza che ha per lui quella determinata cosa. Altrimenti avremmo quello che Nietzsche chiamava “approccio scientifico alla storia”, ovvero la storia è solo un grande contenitore di nozioni da imparare a memoria senza possibilità di comunicazione con esse.
Le tre varianti d’immersione nell’arte sono pertanto la penetrazione del quadro (Looney Tunes: Back in Action), la spiegazione del quadro (Une visite au Louvre) e la spiegazione del mondo attraverso il quadro (The Old Place).