God creò la donna, però senza saperlo. Scienziato folle dal volto sfigurato perché tavolozza da esperimenti per un padre medico sadico e abusante, Godwin Baxter dà (la) vita a sua figlia Bella rianimando con il cervello del feto che porta in grembo il cadavere di una gestante suicida, depressa pre-partum per ragioni sconosciute.

Nella Londra vittoriana di Povere creature!, la mente incontaminata di un infante che si affaccia al mondo guida il corpo ancora scoordinato e comanda i movimenti scomposti di braccia, gambe e viso di una giovane donna, dentro la residenza protettiva di un professore di Medicina, figlio d’arte votato ad ardite sperimentazioni bio-umane, prima, e in giro per il mondo dove Bella impara la vita poi.

Il passaggio dal dentro al fuori, fotografato in quello dal bianco&nero al colore, spalanca le porte della scoperta: del piacere, fisico e di gola, da ripetere e ripetere e ripetere, del linguaggio e del pensiero, dell’ingiustizia e del brutto, del denaro e persino del lavoro, il più antico al mondo. Ma la conoscenza accelerata di Bella, bignami sostanzioso e succulento dell’intero arco delle esperienze umane, è del tutto inedita perché esente da qualsiasi precostituita convenzione, non intaccata né condizionata da giudizi costrittivi e socialmente concordati. Ad insegnare tutto a Bella sono l’esperienza diretta, senza filtri, e l’osservazione precisa e scientificamente consequenziale, che autodidatta impara a conoscere provando, attraverso due vie: sensazioni e pensiero, corpo e cervello.

Come la Barbie di Greta Gerwig perde di punto in bianco serenità e innocenza risvegliandosi dal sogno zuccheroso di Barbieland per spostarsi con urgenza in quello reale, così la Bella di Lanthimos risponde agli stimoli della vita in cui si è tuffata senza rete con stupore e logica, meraviglia e disperazione, dedizione e iniziativa. Al progressivo crescere della consapevolezza il suo sguardo si fa informato, i modi armoniosi e un obiettivo prende forma, eterno approdo di ogni neo-adulto che si domanda: “per cosa sono qui?”.

Inevitabile che la risposta sia quella più pura e più sensata -migliorarsi e impegnarsi a migliorare il mondo- e surclassi quella di ogni uomo che ha intorno. L’avvocato Duncan Wedderburn, macchietta sessualmente vanagloriosa e giudicante; Godwin, padre rimasto lontano dall’intimità di Bella solo perché ridotto prematuramente a eunuco; il pretendente Max McCandles, che la ritiene più bella che intelligente; e mille clienti, spesso perversi, oggetto di ragionamento oltre che di desiderio, verso i quali vira dall’empatia alla rabbia sprezzante, intuendo in tale evoluzione di vedute la fine del suo viaggio e la necessità di sapere della sua vita precedente.

Emma Stone e Lanthimos immergono Bella nella vita come lo spettatore in una speculare sovrabbondanza orgiastica di immagini, temi, colori, costumi, set antichi e fantascientifici. In tale spettacolo, spesso divertente e ironico, fa capolino a più riprese la soluzione kubrickiana dei quadri di Barry Lyndon, con l’inquadratura che parte dal particolare per allargarsi all’ambiente circostante, indietreggiando con evidenza.

In quel film, in tempi non distanti da quelli in cui vive Bella Baxter, un uomo passivo privo persino di un proprio cognome; qui la vittoria definitiva del femminile, cui vorremmo davvero assistere anche oggi, e l’invito di un uomo e di una donna ad altri uomini a mettersi in gioco e fare la propria parte, possibilmente con energia e sagacia.