Mario e Silla sono i soprannomi dati da Ranuccio Bianchi Bandinelli a Mussolini e Hitler nel taccuino in cui annota le impressioni suscitategli dai due durante la storica visita italiana del Fűhrer nella primavera del 1938, alla quale giocoforza prende parte perché ritenuto il più idoneo a ricoprire il ruolo di cicerone.  

Il documentario di Enrico Caria, L’uomo che non cambiò la storia, presentato lo scorso anno al Festival di Venezia, racconta le principali tappe di questo incontro attraverso l’uso del materiale d’archivio dell’Istituto Luce liberamente rimaneggiato da Caria che trae spunto Dal Diario di un borghese di Bianchi Bandinelli pubblicato nel 1948. Sono le pagine riproposte nel 1995 per le edizioni e/o (collana diretta da Goffredo Fofi) con il titolo Hitler e Mussolini 1938. Il viaggio del Führer in Italia ad aver suscitato maggiore interesse, evidentemente scatenato dall’anomalia del tema, dalle acute osservazioni di Ranuccio sui due leader, ben poco carismatici, e preannunciate da fantasiose elucubrazioni su un eventuale delitto perfetto: la loro tragica morte, qui solo immaginata ma pianificata nei minimi dettagli con conseguente sacrificio dell’insospettabile assassino e cicerone, anch’egli rimasto ucciso nella violenta esplosione.

Bianchi Bandinelli è un archeologo e studioso d’arte classica senese, la sua conoscenza della lingua tedesca si rivela essere la carta vincente per diventare l’accompagnatore ufficiale di Mario e Silla, pseudonimi da lui scelti evitando di nominarli: il primo cominciava per M. e il secondo “aveva una terminazione femminile, data la incertezza sessuale del personaggio”.

Questa vicenda, ritenuta da Bianchi Bandinelli uno scherzo del destino vissuto come una condanna, viene da lui osteggiata con ogni espediente a dimostrazione di un’aperta ostilità verso le autorità sorde alla sua evidente avversione e visione critica del regime nazista.    Ma nulla distoglie i funzionari del Ministero della Pubblica Istruzione dalla decisione presa, nonostante Ranuccio nei giorni di preparazione all’incontro assuma atteggiamenti deliberatamente provocatori mostrandosi in giro assieme a noti antifascisti e acquistando “la più scalcinata divisa da fascista e il fez meno napputo”.

Nei mesi che avevano preceduto l’incontro diplomatico le città che sarebbero state di lì a poco toccate dal Fűhrer venivano tirate a lucido; a Firenze Bianchi Bandinelli aveva assistito alla pavimentazione delle strade per il passaggio del festante corteo, improvvisamente non mancavano più i fondi per riparare le fognature, si erano fatti numerosi scavi tant’è che i fiorentini ironizzavano sulla ricerca dell’Asse Roma Berlino. Lo stesso era accaduto a Roma, e “in quella occasione un Pasquino, che si disse abitante oltre le mura vaticane, diffuse la seguente quartina: Roma di travertino – vestita di cartone – saluta l’imbianchino – che arriva da padrone”.

Questo è il clima in cui Ranuccio inizia a maturare l’idea omicida, la sua personale Operazione Valchiria non richiede troppe fatiche, infatti per guidare Hitler e Mussolini lungo il percorso prestabilito meglio di chiunque altro conosce gli orari precisi delle visite. In principio si palesa l’ipotesi di infilare una bomba attraverso le finestre del lungo Corridoio Vasariano, presto gli sembra più congeniale la presenza di un kamikaze, lui stesso ovviamente, all’interno dell’auto utilizzata per gli spostamenti. Ma la forza dirompente di questo futuro martire si esaurisce non appena gli vengono presentati i due personaggi ancora indenni, il nostro cicerone non può che giustificare l’improvvisa assenza di coraggio facendo leva sull’incapacità “di un borghese a uscire, da quello stato di indifferenza nel quale si è condensata la sua secolare stanchezza”.

Il 6 maggio si incontrano alla Mostra della Romanità, Ranuccio osserva Hitler e Mussolini con sguardo distaccato e critico, il suo atteggiamento apparentemente servile non desta alcun sospetto, nei giorni che seguono svolge egregiamente il ruolo assegnatogli restituendoci nei suoi appunti un puntiglioso resoconto. Veniamo a sapere che i due leader, nonostante l’apparente disinvoltura con la quale si svolgono le brevi chiacchierate, non si sopportavano, Bianchi Bandinelli si districa in un delicato equilibrio di poteri ricreando nei propri appunti un tragicomico siparietto degno degli artisti degenerati tanto temuti dal Fűhrer.

Hitler, procede nelle sale museali come se stesse cercando il fazzoletto nascosto dentro un vaso di fiori, “come durante un esperimento familiare di trasmissione del pensiero”, con il suo tono didascalico, intriso di citazioni dal Mein Kampf, mette continuamente in crisi la spavalderia del padrone di casa che cerca aiuto nella presenza rassicurante di Ranuccio. Per capirci, Mussolini, uscendo dal Museo delle Terme di Diocleziano parlando dell’anonimato degli autori di importanti monumenti d’epoca romana viene interrotto da Hitler che ribatte: ‘ “Però Vitruvio…”. Allarmato Mussolini riprende: “Vitruvio?, già Vitruvio…” (…) Lo sguardo di soccorso di Mussolini verso di me, quasi penoso; tanto che il mio sentimento fu proprio questo: povero vecchio diamogli una soddisfazione (…) Niente paura! “Vitruvio» dico io, “Non ha lasciato nessun edificio al quale possiamo collegare il suo nome; esso ci è giunto, perché autore di un libro, di un trattato”. L’onore è salvo’!

Nei filmati dell’Istituto Luce scorgiamo di frequente la figura di Bianchi Bandinelli seduto sullo strapuntino dell’auto, davanti alla Paolina Bonaparte del Canova o mentre assiste all’esibizione degli sbandieratori a Boboli; la sua testimonianza riflette un rilevante evento storico, Una giornata particolare per alcuni, singolari visite guidate per Ranuccio.