Premettendo che consiglio caldamente la visione di Un western senza cavalli (2016), documentario realizzato da Davide Rizzo e Marzia Toscano che ripercorre l’opera di Mauro Mingardi, cineasta per vocazione, apprezzato in festival nazionali e internazionali ma, con po’ di rimpianto e una punta d’orgoglio, estraneo all’industria cinematografica, nonostante la corte di Rossellini che lo vorrebbe a Roma, un outsider per scelta confinato nel mondo dei cineamatori. Oggi che questa etichetta, ancora più che nel passato, suona come denigratoria, credo sia fondamentale premettere che Mingardi è un filmaker a tutti gli effetti, e il termine cineamatore, come lui stesso afferma, lo priva della dignità e della creatività artistica di cui ha dato prova in tanti anni di attività. Per dare maggiore rilievo alle sue particolari doti che poco hanno a che spartire con l’ambito amatoriale, non possiamo non menzionare i nomi dei registi che, oltre al già citato Rossellini, ne elogiano le capacità tecniche e il suo talento: Marco Ferreri lo cerca quando si trova a Bologna per girare Chiedo asilo (1979), Pier Paolo Pasolini si complimenta con lui e Nanni Moretti sembra lo indichi come uno dei suoi registi di riferimento.

Tutte le pellicole e i lavori di Mingardi, ora conservati presso Home Movies Archivio Nazionale del film di Famiglia (la proiezione rientra nel programma di Archivio Aperto), sono stati esaminati dai registi che supportati dalle interviste dei protagonisti di quella fortunata esperienza hanno ricostruito un percorso artistico fatto con pochi mezzi ma, e questa è forse la caratteristica più rilevante, portato avanti con tanta passione mostrandoci un amore incondizionato per il cinema e, potremo aggiungere, per la sua città, Bologna, in cui ambienta tutte le storie.

A innescare la miccia, neanche farlo apposta, è la maggiore industria cinematografica di sempre incarnata dalla diva hollywoodiana Yvonne de Carlo che nel 1953 attraversa i viali di Bologna fermandosi con la limousine a fare il pieno, ma avendo solo dei dollari paga con una cinepresa, una Keystone 8mm per la precisione, che presto arriva nelle mani dello zio di Mauro Vasco Pasini, il quale, un po’ per gioco e un po’ per curiosità, comincia a fare dei film con i suoi amici fino a quando passa il testimone a suo nipote.

Mauro Mingardi seguendo le orme dello zio, nome d’arte P. W. Mulligan, con il quale porta avanti una fruttuosa collaborazione, sviluppa le proprie idee elaborando delle trame fantasiose per i suoi film a soggetto, ancora non si diceva fiction, partendo dai pochi mezzi a disposizione, in particolar modo sono le facce di amici e parenti a suggerire la storia, le physique du rôle non è mai stato così importante!

Il giovane Mingardi, appassionato di horror e western, gira il primo cortometraggio nel 1958, dopo aver fatto una colletta per acquistare una pellicola Ferrania, mille lire, non poco per l’epoca. L’oro maledetto, questo è il titolo, location Castenaso, è una caccia all’oro in Perù che si ispira a La febbre dell’oro di Charlie Chaplin. Numerosi amici e parenti vogliono prendervi parte anche se il film prevede pochi ruoli, l’unico modo per accontentarli è inserire nella sceneggiatura tante morti violente così che tutti possano partecipare, non importa se uscendo di scena annegati, uccisi dai pellerossa o dai coccodrilli. La curiosità di vedersi sullo schermo è tanta e la bravura di Mingardi, fin dal principio, richiama attorno a se numerose persone, una forma d’aggregazione spontanea e giocosa che lo porta ad essere nello stesso tempo protagonista e regista dei suoi film.

I soldi non sono molti, ma le motivazioni sono forti e divertirsi resta il principale motivo per cui Mingardi e la sua troupe di non professionisti non demordono nonostante le numerose difficoltà tecniche ed economiche che un regista/artigiano, qual è Mauro, di professione modellista meccanico nella bottega del padre Armando, riesce ad arginare facendo leva sulle non comuni doti creative e manuali.

Tra i numerosi titoli possiamo ricordare Alla ricerca dell’impossibile (1962) che vince la medaglia d’argento al XVI Festival Internazionale di Cannes per pellicole amatoriali; La danza dei contatori (1963) riceve un premio per gli effetti speciali grazie al sapiente uso di Mingardi della tecnica del passo uno; Il tempo nel muro (1969), invece, vince il primo premio al Festival Internazionale di Rapallo nel '70 arrivando primo davanti a Ermanno Olmi e Roberto Rossellini, rispettivamente con I recuperanti e L’età del ferro.

Nel 1974, dopo quasi vent’anni il progetto western viene ripreso, Badlands propone una serie di trucchi scenici truculenti, vi partecipa anche una giovane Syusi Bladi, la squaw, e finalmente tre cavalli. In realtà gli esemplari sono due perché uno è truccato da terzo cavallo, così spiega l’amico e collaboratore Mauro Bonifacino, protagonista e killer in Vita di artista  (1981) film che si conclude con il suo suicidio, una spettacolare impiccagione.

Ne Gli usignoli di Rellstab (1984), Mingardi gira le riprese all’interno della propria abitazione che per l’occasione si trasforma in una casa infestata. La finzione serve al regista per affrontare il tema della morte e la perdita dei ricordi, che ricorrono spesso nelle sue opere, qui rievocati dalla volontà dei fantasmi dei nonni di tornare nella propria dimora. Lorenzo Mingardi racconta di essere stato coinvolto dal padre il quale gli ha dato una parte nel film, per lui, aveva cinque anni, un vero e proprio trauma rivissuto ogni volta che la casa scricchiolava.

I limiti tecnici e produttivi di un cinema autofinanziato hanno stimolato il talento creativo di Mingardi, per molti aspetti aiutato dalla professione di artigiano, consentendogli di formare uno stile personale facendo cinema in tutte le sue parti, dal soggetto alle scenografie, dalle riprese al montaggio. La voglia di giocare e l’entusiasmo di tutte le sue comparse mettono in secondo piano la consapevolezza di recitare e di fare un film, come accade alla sorella di Mauro, Adriana, che vorrebbe essere bionda e coglie l’occasione per poter vedere realizzato il suo sogno, indossando una parrucca in un film di vampiri, divenendo, come lei stessa racconta, l’attrice ideale per quella parte, perché le vengono molto bene le espressioni di paura.

Quando Rossellini propone a Mingardi di andare a Roma al Centro Sperimentale, l’idea di perdere gli affetti e il lavoro lo fanno desistere…per fare carriera e diventare un professionista non ci vuole solo il talento, “bisogna riconoscere i propri limiti”, spiega Mauro, “se tutte le volte che chiami a Roma e speri non ti risponda nessuno!”