In Cena con delitto non c’è nessuna cena e il delitto è strumentale a una più ampia meta-riflessione sul genere giallo nel suo complesso. La titolazione italiana dell’originale Knives Out si serve dell’immaginario culturale ascrivibile all’universo del whodunit, figlio della letteratura di Arthur Conan Doyle e Agatha Christie, accessibile da cinefili e non. Nel primo caso omaggia alcuni film cardine, come il parodistico Invito a cena con delitto (Robert Moore, 1976). Nel secondo richiama alcuni elementi del genere immediatamente riconoscibili – la situazione conviviale, il delitto - che hanno contaminato anche le pratiche di consumo (i cosiddetti murder party). Per quanto possa funzionare in termini di marketing, tradisce in parte i contenuti. Perché in Cena con delitto, il delitto perde la sua centralità ed è il genere stesso a divenire protagonista assoluto.

L’ultima fatica di Rian Johnson ha il pregio di rinobilitare e sfidare la tradizione di un genere che pare dimenticato. Se si guarda alla recente produzione cinematografica del classico giallo deduttivo, viene in mente solo Assassinio sull’Orient Express di Kenneth Branagh (2017) che è una trasposizione poco riuscita del celebre romanzo di Agatha Christie, priva di originalità, stile e contenuti. Se preso come elemento di confronto, il potenziale di Cena con delitto risalta senza dubbio. Nelle premesse, i tipi e topoi del genere ci sono tutti. Una casa di campagna, una ricca famiglia che si riunisce in occasione di un evento speciale, un omicidio, un detective (più due poliziotti) pronto a risolvere il caso e, naturalmente, un vaso di pandora colmo di segreti e antichi rancori. Salvo un turning point repentino nel primo atto in cui il mistero è svelato, il colpevole viene scoperto e il giallo diviene action thriller nel secondo atto per tornare a essere giallo in chiosa.

Johnson è un autore che ama sperimentare, in cerca di una personale cifra stilistica. Basta ripercorrere la sua breve filmografia per apprezzarne, in parte, la schizofrenia artistica. Dal cinema noir al flop disneyano Star Wars: Gli Ultimi Jedi, passando per il successo di Caccia Grossa (meglio noto come Fly), uno degli episodi visivamente più riusciti e celebrati della serie televisiva Breaking Bad. Cena con delitto è la summa delle precedenti esperienze. Un’opera dal ritmo incalzante e dai toni brillanti, in grado di creare la giusta suspence, coinvolgere il pubblico nella ricerca del colpevole tra dialoghi serrati, comicità e colpi di scena. Fino a un certo punto. Fino a quando segue i canoni del genere.

La debolezza di Cena con delitto risiede in quella sperimentazione che dovrebbe essere il punto di forza dell’opera. Il costante oscillare tra generi differenti- black comedy, thriller, giallo, action, drama - le impedisce di trovare una sua dimensione. Ne risentono le caratterizzazioni dei personaggi che risultano caricaturali e non efficacemente parodistici à la Invito a cena con delitto. Ne risentono le interpretazioni del cast, seppur stellare (tra i protagonisti, Michael Shannon, Toni Collette, Jamie Lee Curtis). Daniel Craig (l’investigatore privato Benoît Blanche) pare perennemente sospeso tra Hercules Poirot e James Bond. Ne risente la struttura narrativa nel suo complesso: nell’infrangere il meccanismo della stanza chiusa, tipico del giallo a enigma, Johnson separa fisicamente i personaggi - alcuni dei quali gettati prepotentemente in inseguimenti ed esplosioni fuori contesto - e si trova costretto a gestire più piani spaziali, perdendo di efficacia.

Tuttavia, il ricco mash-up di citazioni, che omaggia cinema popolare e cinema autoriale, e la mise en scène sono elementi dei quali godere e con i quali il regista si diverte a giocare. Lo fa sin dalla sequenza di apertura, uno slow motion che per musiche, fotografia gotica e rappresentazione ricorda la grottesca scena di caccia del distopico The Lobster di Yorgos Lanthimos. Lo fa con i primissimi piani e i dolly zoom di matrice hitchcockiana. Lo fa citando giochi di società alla Cluedo ed eroine del piccolo schermo come Jessica Fletcher in La signora in giallo. La vittima stessa (Christopher Plummer) è un noto scrittore di crime fiction. Johnson sembra suggerirci che un giallo, se lo vuole, può arrivare ad assumere sfumature polanskiane alla Carnage, trasformandosi in un terreno di scontro politico e ideologico.

Del resto, come l’infermiera Marta (Ana de Armas) - una (presunta) assassina, instancabilmente onesta, che vomita al solo pensiero di mentire - vince sempre nei board game perché non gioca per battere l’avversario ma per creare un disegno, così Johnson gioca con il genere a carte scoperte nel tentativo di ridefinirlo senza tradirlo. Se, come la sua eroina, sia abile a farlo o meno, resta ancora un mistero.