Nel 1915 aveva luogo il terribile genocidio degli armeni stanziati in Turchia, parte ad opera dei “Giovani Turchi”, movimento politico che a partire dal 1909 salì di fatto al regime deponendo il sultano Abdul Hamid sostituendolo col fratello Maometto V, che regnò fino al termine della Prima Guerra Mondiale. La paura maggiore dell’Impero era che il popolo armeno, amico dei Russi, potesse unirsi a loro durante la guerra appena iniziata. Così, sotto la supervisione dei tedeschi, i turchi costrinsero gli armeni a lunghe marce della morte  durante le quali in migliaia morirono di fame e stenti. Perché dedicare una sezione a questo avvenimento? Per la sua non presenza nelle opere dell’epoca. Il genocidio degli armeni è totalmente assente nel cinema addirittura fino a Nahapet (1977) di Guenrikh Malyan. Che si sia dovuto aspettare la fine degli anni Settanta per avere un film su questo argomento non stupisce pensando che a tutt’oggi moltissimi stati non riconoscono come genocidio quanto avvenuto: primo tra tutti ovviamente la Turchia ma stupisce vedere anche gli Stati Uniti nonché il Regno Unito.

L’unico stato che avrebbe potuto forse parlarne sarebbe stata l’Unione Sovietica, dove diversi artisti si dedicarono a filmare e salvaguardare attraverso le immagini le caratteristiche delle minoranze. Ma neanche lì se ne parlò, probabilmente perché parlare di una simile tragedia avrebbe potuto portare alla nascita di movimenti nazionalisti che i sovietici non avevano alcuna intenzione di incentivare. Così anche nella filmografia muta armena, si intende cioè una produzione sovietica ma di registi indigeni, la tragedia non viene menzionata o eventualmente appena accennata.

Namus (1926), primo film armeno, è in realtà molto simile a un certo tipo di produzione sovietica che abbiamo imparato a conoscere due anni fa al Cinema Ritrovato con Ivan Pravov e Ol’ga Preobraženskaja, che consiste nella descrizione della vita locale di una zona rurale e i tragici eventi causati dai pregiudizi di una società dalla mentalità retrograda. Con il tragicomico Kikos (1931) viene ripercorsa la breve storia della Prima Repubblica Armena, creatasi a seguito del vuoto di potere creatosi immediatamente dopo la Rivoluzione Russa. Il contadino Kikos si trova coinvolto suo malgrado nella lotta armata contro i soldati sovietici. Diventerà, senza rendersene conto, paladino della rivoluzione socialista aiutando a rovesciare la repubblica in favore del governo comunista.

Kurdy-Ezidy (1933) è una sorta di docufiction. Nel film si racconta lo sfruttamento dei Yazidi curdi nelle zone periferiche da parte delle classi dirigenti locali che utilizzavano a loro vantaggio il loro analfabetismo, ostacolando per i propri scopi il socialismo stesso. Per questo il governo invia in quelle zone una maestra che dopo un duro lavoro di convincimento porterà l’alfabetizzazione liberando i Yazidi curdi dai loro malvagi sfruttatori. Non manca una lunga parte dedicata agli usi e consumi dei locali, nonché una grande attenzione del regista per la dimensione paesaggistica del luogo. È interessante notare che un probabile riferimento al genocidio si faccia nella versione francese del film americano The Despoiler (1915), che venne rieditato nel 1917 da Louis Aubert con chiari intenti propagandistici. Nella versione statunitense il film aveva infatti un’ambientazione generica, mentre in quella francese la storia si svolgeva al confine turco-armeno.

Il genocidio degli armeni è uno tra i tragici avvenimenti storici più controversi dello scorso secolo. Fin da subito si avvertì la necessità di tacere quanto accaduto e questo si riflette chiaramente anche a livello cinematografico. A cento anni dalla strage il Cinema Ritrovato ha voluto ricordare tutto questo affinché non si dimentichi quanto accaduto e nella speranza che sempre più stati riconoscano la tragedia subita da questo popolo come genocidio.