È piuttosto noto il fatto che Antonio Pietrangeli non sia stato un regista particolarmente apprezzato dalla critica nell’arco della sua carriera, e che sia stato rivalutato solo dopo la sua morte. Naturalmente è troppo facile ergersi a “critici dei critici” e disapprovarli a posteriori, eppure ad oggi risulta difficile comprendere il motivo di tale scarsa valorizzazione del lavoro del regista romano, la cui filmografia (in parte recuperabile su Amazon Prime Video e RaiPlay) stupisce per l’incredibile modernità e per l’ampia gamma di sfumature nella raffigurazione dei personaggi femminili, che pur essendo ognuno a proprio modo rappresentativi dei cambiamenti di un’epoca e dei suoi costumi, mantengono la loro unicità e forte caratterizzazione. Altro aspetto ampiamente notato e approfondito è il fatto che in larga parte del suo cinema le protagoniste siano donne, elemento che andava in controtendenza con la commedia all’italiana di quegli anni, che vedeva in prima linea i mattatori Sordi, Manfredi, Gassman, Tognazzi e Mastroianni.

Quello di Pietrangeli sembra inoltre essere un cinema smaccatamente partigiano, ossia dalla parte dei personaggi femminili senza remore, ammiccamenti o ambiguità. Coerentemente con tanta filmografia dell’epoca, ma rappresentati in maniera ancora più netta e accusatoria, tranne rare eccezioni i personaggi maschili sono dipinti come dei deboli, dei meschini, resi schiavi dalle loro stesse ipocrisie e dalla loro doppia morale. Nel farlo Pietrangeli non sempre si maschera dietro un linguaggio comico, e quando lo fa lo humour scaturisce da contesti talmente biechi o mostrandoci soggetti talmente opportunisti o fragili e precari che la commedia assume tinte oscure.

Tutt’altro trattamento è riservato invece ai personaggi di Celestina (Il sole negli occhi) Francesca (Nata di marzo) Adua, Lolita e Marilina (Adua e le compagne), Dora (La parmigiana), Pina (La visita), Adriana (Io la conoscevo bene), che pur potendosi semplicisticamente dividere in due tipologie, ossia le donne volitive spinte da impulsi moderni e le “foglie al vento” senza pregi apparenti e senza grande forza di intelletto e di carattere, sono ognuna a proprio modo portatrici delle contraddizioni e delle lacerazioni della società italiana dei primi anni ‘60. Consapevoli o meno, ognuna di loro incarna quasi suo malgrado delle istanze di cambiamento, e proprio per questo il più spesso delle volte saranno duramente punite. L’emancipazione sociale e sessuale è un processo visto e rappresentato da Pietrangeli come tutt’altro che indolore e all’euforia del boom economico e dell’apparente liberazione dei costumi ad esso conseguente il regista contrappone un “nocciolo duro”, l’animo profondo della nazione che continua a nutrirsi di una falsa morale stantia e perbenista.

Ritrovandosi incastrate nel crinale di un mutamento ancora parziale e indefinito (e forse mai totalmente compiuto) molte delle protagoniste dei film di Pietrangeli seguono movimenti aleatori, percorsi dettati da erranza e incompiutezza. Elementi, che, come sottolinea Roberto De Gaetano (Fatamorgana) rendono il cinema di Pietrangeli così moderno, tanto da portare altri critici ad associare la sua regia allo stile della nouvelle vague, nel suo seguire un andamento libero e spesso indeterminato. Eppure al tempo stesso Pietrangeli non si stacca mai da un’indagine sociologica strettamente legata all’Italia, mostrandoci come le donne, con le loro battaglie e le loro solitudini, rappresentassero un termometro dei cambiamenti (realizzati o falliti) più immediato ed efficace rispetto agli uomini loro contemporanei.