Un'altra colonna portante della storia del cinema muto italiano è Carnevalesca (1918) di Amleto Palermi, studiato e analizzato più e più volte nell’ambito della teoria del colore nel cinema. Più che parlare della trama del film (una classica vicenda di aspirazione al trono da parte degli eredi di un sovrano, destinati poi a distruggersi tra loro) o dell’interprete principale Lyda Borelli, eroina dannunziana, diva bellissima e tragica, è opportuno spiegare come questa pellicola sia completamente intrisa di significato simbolico, poiché è proprio il colore il vero protagonista del film restaurato nel 1993 dalla Cineteca di Bologna.

Per capire meglio l’intera scansione del film, occorre certamente una conoscenza preliminare di ciò che era il progetto iniziale della sceneggiatura, non corrispondente a quanto giunto a noi, probabilmente a causa di una pesante sottoposizione a tagli da parte dei distributori. Lo sceneggiatore Lucio D’Ambra aveva architettato una divisione del film in carnevali colorati tramite imbibizione in maniera differente e nel seguente ordine: bianco, azzurro, verde, blu, rosso, giallo, arancio, violetto. Tranne il bianco e il nero (rispettivamente presenza e assenza di colore), si tratta di sei dei sette colori della gamma cromatica di Newton. Per ogni transizione da un colore all’altro, vi era poi l’inquadratura fissa di un prisma che emetteva il colore che si sarebbe visto nel corso della sequenza successiva.

Nella versione attuale (e unica) si nota come ogni elemento simbolico, espressivo, culturale di ogni sezione ne influenzi nettamente l’effetto cromatico. Il primo carnevale, il bianco, vivacizzato dai bambini, rappresenta l’innocenza e l’origine della vita; l’azzurro i primi tenui amori e l’ambiente marino; il verde la gioventù, l’adolescenza e i giardini del castello; il blu la notte e l’illusione del potere (animato dalle lucciole riprese in sovrimpressione); il rosso il passaggio dei protagonisti all’età adulta, il sangue e il delitto di re Luciano; il giallo la menzogna e il tradimento; l’arancio il matrimonio di Maria Teresa e l’omicidio di Pietro. Conosciamo il significato dell’associazione cromatica di questo colore grazie ad un precedente film scritto da D’Ambra Le mogli e le arance (1917). Il violetto è il colore del lutto, annuncio dell’ultimo carnevale, il nero, opposto al bianco, quindi morte e oscurità, di cui non rimane alcuna traccia. Sono fortunatamente sopravvissuti gli inserti divisori tra un carnevale e l’altro: il prisma impugnato da una mano femminile appare sei volte.

Sono state fatte molte altre teorie e supposizioni riguardo il colore in Carnevalesca (ad esempio un’alternativa suddivisione in quattro carnevali corrispondenti alle stagioni dell’anno e alle età dell’uomo), ma questo film complesso che offre una doppia chiave di lettura, letterale e simbolica, per il 1918 era quanto di più innovativo si potesse vedere e, soprattutto, percepire.