Le lacrime di commozione di Med Hondo alla presentazione di West Indies, manifestazione passionale della sua gioia nel poter condividere il suo film con il pubblico a distanza di 40 anni, spiegano meglio di tante parole la perseveranza del regista mauritano nel concepire il cinema come un'arte collettiva tout court e l'importanza cruciale di quest'opera nella ridefinizione del cinema africano successivo.

Optando per un'insolita ma coraggiosa impostazione teatrale, Hondo costruisce nel bel mezzo di un hangar in rovina una nave negriera e la usa come palcoscenico per un caustico musical satirico che si interroga sulle conseguenze nefaste dello sfrenato colonialismo europeo. La collocazione dei due schieramenti riflette ironicamente le dinamiche schiavo-padrone in oggetto: in cabina di comando  vive circondata dal lusso la bianca Europa, incarnata da un grottesco quadrumvirato che riecchegia quello ancor più funereo di Salò, e sottocoperta viene relegato il popolo dell'Africa nera, costituito da schiavi e dai loro discendenti creoli costantemente ingannati e vilipesi dalle alte sfere.

Il conflitto di civiltà ritratto in West Indies supera però la semplice dimensione spaziale. Il regista  usa la nave negriera come una macchina del tempo che mette in parallelo l'emigrazione degli afrocaraibici delle Antille verso la “sfavillante” Parigi con l'immigrazione forzata degli schiavi africani nelle colonie francesi, in una continua alternanza tra presente e passato che evidenzia l'immutabilità dei pregiudizi e delle false promesse dell'alta borghesia europea.

L'ambizione di Med Hondo è quella di rimettere in scena 400 anni di storia coloniale per metterla sotto processo e fornire al popolo africano una consapevolezza storica della propria identità: ogni sequenza trasuda sagace ironia e virulento disprezzo verso il cieco individualismo dei governanti francesi, disposti a sacrificare intere generazioni in nome del profitto, e vi contrappone l'orgoglio e la dignità del popolo africano collettivamente proteso verso la libertà e il riconoscimento della propria rilevanza nella storia dell'umanità.

Ma ciò che rende West Indies un film unico nel suo genere è il suo essere uno spettacolare musical curato nei minimi dettagli prima ancora che un'opera militante: il virtuosismo di Med Hondo sta nella sua perfetta padronanza delle tecniche cinematografiche, come dimostrano gli elaboratissimi piani sequenza del film, i montaggi interni e le fluide carrellate che modificano senza sosta lo spazio d'azione dei personaggi all'interno della nave, e l'ampia gamma di stili musicali e coreografie di danza danno al film una potenza trascinante che non può non coinvolgere gli spettatori nella frenetica lotta per la libertà del popolo africano.

Nella sterminata serie di cinematografie mondiali sconosciute al pubblico occidentale, quella di Med Hondo, operaio della cultura innamorato di Vittorio De Sica, è senza dubbio quella col maggior potenziale di compenetrazione nell'immaginario e nell'emotività degli spettatori di questa edizione del festival, e con West Indies si ha la fortuna di assistere a un genuino atto d'amore capace di dare al cinema africano una propria identità totalmente estranea alle modalità di rappresentazione hollywoodiane.