I protagonisti del film sono i genitori di Raymond Briggs, grandissimo disegnatore inglese conosciuto soprattutto per i memorabili ed ormai classici Il pupazzo di neve (1978) e Quando soffia il vento (1982). Proprio quest’ultimo, tenero apologo su un’anziana coppia che si prepara all’apocalisse nucleare, già conteneva il seme di Ethel & Ernest (1998), celebrata graphic novel all’origine di questo adattamento diretto da Roger Mainwood, esordiente nel lungometraggio ma precedentemente impegnato in altre trasposizioni di lavori di Briggs targate BBC.

Come in Stoner di John Williams, in Ethel & Ernest sembra non accadere niente. O meglio: più dei fatti, a contare sono i personaggi e il tempo. Presentato dallo stesso artista, nonché annunciato da una serie di suoni che rivela da subito l’adesione ad una poetica del quotidiano e del domestico (le stoviglie, il latte nella tazza, le posate), è il racconto di un matrimonio che il figlio cresciuto sente l’urgenza intima di rievocare, pur non considerandolo “niente di straordinario” – o forse proprio per quello.

Biografia di un amore che percorre oltre un quarantennio di storia inglese e tratteggia, attraverso la vita quotidiana delle persone, la piccola epopea della working class londinese: lui lattaio a domicilio, laburista convinto ed economo, sempre attento alle cose del mondo e a non invadere i campi sociali altrui; lei ex domestica poi impiegata, quarta di undici figli, morigerata e pragmatica, più realista dei Reali e sostenitrice di Churchill. Un solo figlio, “una volta e mai più” dice il medico, prima mandato in campagna durante la guerra, poi allievo della scuola d’arte, infine insegnante con moglie schizofrenica.

Insieme alla dimensione privata, Ethel & Ernest racconta il declino e la scomparsa di un ceto sociale, facendo percepire un senso della fine che collima più con la nostalgia che con la denuncia, com’è legittimo che sia in un onesto e personalissimo omaggio a due persone care, eccezionali nella loro normalità. Visivamente splendido, frutto di un incantevole lavoro artigianale del quale si percepisce la pastosa delicatezza del colore, impeccabile tanto nei rilassati quadretti urbani (i dettagli dei palazzi, i particolari nei tinelli, i verdi dei giardini) quanto nella puntualità cromatica dei momenti più tragici (i bombardamenti, i finali).

Doppiati benissimo da Brenda Blethyn e Jim Broadbent, i coniugi sono davvero indimenticabili nell’estrema dignità da “ordinary people”, ora astanti ora vittime della Storia che gira attorno, protagonisti di esperienze individuali che in realtà sembrano appartenere alla comunità. Una toccante convivenza di sorrisi, in alcuni simpatici passaggi del ménage matrimoniale, e lacrime, come quando appare il vicino di casa alla festa per la vittoria della guerra o nello straziante commiato del pettine. Un film che è un po’ come la vita.