Il cinema di Henri-Georges Clouzot è all’insegna del noir, declinato in varie forme, ma sempre focalizzato sulla psicologia dei personaggi: dopo L’assassino abita al 21, in cui il giallo si stempera nei toni della commedia, dirige quel capolavoro nerissimo che è Il corvo (Le Corbeau, 1943). Forse il suo film più celebre insieme al successivo I diabolici, che è una pietra miliare del thriller moderno ricca di spunti persino orrorifici, ma senza dimenticare film come Legittima difesa, Vite vendute e La verità, che delineano un universo nero composto da gente comune, fuori dai milieu criminali. Il corvo, incentrato su una descrizione al vetriolo della borghesia dove covano misfatti e segreti inconfessabili, è un grande classico del cinema francese, un film dotato di una narrazione e di un linguaggio assolutamente moderni e in grado di parlare agli spettatori di ogni epoca – in fondo, la piccola borghesia cattiva e viziosa non è poi lontana da quella messa in scena anni dopo da un altro maestro come Claude Chabrol.

Il corvo è un film che nasce in un contesto molto difficile, cioè l’occupazione nazista della Francia, e la pellicola stessa è prodotta dalla Continental Films, uno studio cinematografico tedesco ma con sede a Parigi, che svolgeva una sorta di funzione propagandistica nel Paese occupato. A causa delle tematiche trattate, cioè la delazione e il sospetto, Il corvo fu accusato dalla stampa clandestina e comunista di essere un film anti-francese, che metteva in cattiva luce la popolazione occupata. Con la storicizzazione del film e del contesto, è evidente che nulla di questo è vero: e non solo perché alla lavorazione collaborarono anche personaggi dell’opposizione, ma perché l’opera di Clouzot conserva uno smalto che non è stato intaccato dal tempo, e potrebbe persino essere letta in senso anti-nazista – la vile pratica delle denunce anonime contro chi non era fedele al Reich.

Scritto dallo stesso Clouzot insieme a Louis Chavance, Il corvo si basa su un fatto di cronaca avvenuto a Tulle nel 1917, e trasposto con licenza cinematografica in una cittadina francese che, come indica la didascalia iniziale, potrebbe essere qui o altrove (il luogo non ha importanza, poiché la vicenda è universale). La quiete è turbata da una serie di lettere anonime firmate dal misterioso “Corvo” e recapitate a varie personalità del luogo: le missive hanno come oggetto in particolare il dottor Rémy Germain (Pierre Fresnay), accusato di essere un abortista e di avere una relazione clandestina con la moglie del dottor Vorzet, lo psichiatra dell’ospedale in cui lavora. Le lettere arrivano anche allo stesso Germain e ad altri personaggi, quali un direttore della struttura sanitaria accusato di corruzione, un malato a cui viene rivelata la futura morte (provocandone il suicidio), e qualcun altro accusato di rubare morfina. Alcuni indizi inducono la polizia ad arrestare un’infermiera dell’ospedale, ma i cittadini continuano a ricevere i misteriosi messaggi del “Corvo”, per cui sarà proprio Rémy a dover scoprire chi si cela dietro l’ignobile diffamatore.

Il corvo – che nel 1951 ha avuto anche un remake diretto da Otto Preminger, La penna rossa – è un giallo/noir psicologico e decisamente sui generis, poiché la detection non è incentrata su degli omicidi (come accade di solito), ma su lettere anonime, egualmente affilate come lame. Nel film non ci sono delitti, salvo il suicidio del paziente e la morte misteriosa che conclude la storia, eppure Clouzot ci fa percepire una tensione costante che trova la sua ragion d’essere in quel clima di sospetto e delazione di cui si diceva prima, e che si prestava alle sciagurate letture ideologiche. Il paese è piccolo e la gente mormora, come si usa dire, tutti sospettano di tutti, e Il corvo trasuda cattiveria, amarezza e cinismo da ogni inquadratura – sentimenti che sono resi per esempio tramite i dialoghi taglienti e i primi piani disperati su alcuni personaggi.

Le Corbeau è un ritratto amaro e spietato della piccola borghesia provinciale – un ritratto di borghesia in nero, cattivo e anche abbastanza spinto per l’epoca – tanto dei cittadini quanto delle autorità, dove nessuno è innocente (anche il dottor Germain ha degli scheletri nell’armadio, sepolti in un tragico passato) e nessuno sfugge al sospetto. La regia di Clouzot, magistrale come suo solito e all’apice della maturità, mette perciò gli spettatori sullo stesso piano narrativo dei personaggi, che potrebbero essere tutti egualmente colpevoli. Lo stesso finale non dà una risposta definitiva, e si paventa l’ipotesi che il “Corvo” possano essere in realtà più persone – così come accadeva per i delitti de L’assassino abita al 21.

La vicenda muove un’aspra critica all’ipocrisia e al falso perbenismo borghese, con una costellazione di personaggi cattivi o viziosi, mossi da turbe psichiche, invidia, gelosia e altri sentimenti ignobili. C’è il sadismo del “Corvo”, che semina zizzania; ma c’è anche la sessualità repressa del dottor Germain; c’è la lussuria della giovane Denise, una ninfomane al cui fascino non saprà resistere neanche il dottore; c’è lo psichiatra, il dottor Vorzet, con le sue teorie antiquate e il vizio della droga, la moglie incolpata di tradimento e la crudele cognata; e ci sono i notabili, accusati di corruzione.

Il corvo è girato in un bianco e nero asciutto e ricco di luci e ombre, lontano dai tagli di luce quasi espressionisti de I diabolici, con la colonna sonora che compare soltanto all’inizio e alla fine; ma con una fotografia ricca anche di soluzioni geniali come la lampada che oscilla sui volti di Germain e Vorzet dipingendovi luce e buio, mentre lo psichiatra espone le sue teorie sull’inseparabilità del bene e del male.