Black Is King non è il primo visual album di Beyoncé. L’artista e imprenditrice afroamericana già si era cimentata con questo particolare formato tra il videoclip e il film d’arte con risultati più o meno riusciti, di cui senz’altro Lemonade (2016) resta il più efficace e il più vicino a livello tematico a quest’ultimo lavoro, ispirato al live action de Il re leone in cui la cantante presta la voce a Nala.

Nato come rielaborazione visiva della colonna sonora The Lion King: The Gift, il film di Beyoncé si allontana dall’universo disneyano, ampliando i contenuti delle canzoni e approfondendo le tematiche del film, facendone un racconto universale fortemente connesso al concetto di blackness. Minuziosamente curato sul piano visivo – con continui rimandi alla cultura africana rielaborati in chiave pop, con incursioni nell’afrosurrealismo e afrofuturismo, nell’R&B, hip-hop e afrobeat – il risultato è una dichiarazione d’amore verso l’Africa e la sua storia dimenticata, quella degli antenati fondatori delle antiche civiltà di cui l’odierno popolo nero è al contempo erede e testimone.

Girato tra Africa, Europa e Stati Uniti con maestranze e artisti locali tra i più rappresentativi della nuova coscienza nera (Pharrell Williams, Childish Gambino, Jay-Z, Tierra Wack, Oumou Gambaré, Busiswa, Yemi Alade, Salatiel), Black Is King si fa evidente riflessione panafricana sulla condizione attuale dei neri e della resilienza a cui sono storicamente portati, costretti a “tenere le corone nelle tasche per via di un ambiente repressivo”. È chiaro dunque che in un periodo storico così difficile per gli afroamericani, presi tra urgenti questioni sociopolitiche e razziali, l’invito ad alzare la testa, comprendere il valore del colore della propria pelle, rispettare i fratelli e le sorelle e adoperarsi con loro per il bene comune, assume un significato che va ben oltre la morale del racconto originale.

Beyoncé tocca tanti temi in un’opera visiva di grande suggestione, colta e stratificata pur se a tratti ridondante nei contenuti, acclamata dalla critica nonostante alcune perplessità legate prevalentemente all’immagine di un’Africa opulenta ben distante dalla realtà. Ma attenzione: Black Is King non è un film sul continente, bensì una rappresentazione idealizzata da parte di una figlia della Diaspora di un periodo superato che deve continuare a vivere all’interno di ognuno, un invito a custodire la memoria delle proprie radici per ricordare chi si è e sapere dove si sta andando.