La sezione Cinemalibero apre il sipario con Prisioneros de la tierra, film del 1939, “anno straordinario per il cinema”, diretto da Mario Soffici, autore nato a Firenze nel 1900 e trasferitosi in Argentina 20 anni dopo. La copia vista proviene da The Film Foundation’s World Cinema Project, che ne ha curato il restauro assieme alla Cineteca di Bologna in collaborazione con Museo del Cine Pablo Ducrós Hicken presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata, con il sostegno di George Lucas Family Foundation. Il film è considerato una delle pietre miliari della storia del cinema argentino (e sudamericano in generale) ed è tratto da un racconto di Horacio Quiroga, tra i più grandi autori latinoamericani di racconti, morto suicida nel 1937. Tra gli sceneggiatori figura Dario Quiroga, figlio dello stesso Horacio.

Soffici denuncia per la prima volta le precarie condizioni dei mensù, braccianti nelle piantagioni di mate, ambienta le vicende nel 1915, quando un proprietario terriero, accompagnato da un medico alcolista e dalla figlia, è in cerca di braccia forti da imbarcare e sfruttare in una nuova piantagione. Le angherie e le ingiustizie si amplificheranno e culmineranno nell’inevitabile punto di rottura, una ribellione che vedrà un soddisfacente, anche se momentaneo, ribaltamento dei ruoli.

Ci troviamo in piena epoca classica del cinema, nello stesso anno usciranno alcuni dei più grandi capolavori della storia della settima arte e per certi versi questo importante film argentino segue alcune linee guida della messa in scena e dello schema narrativo classico: l’utilizzo della grammatica cinematografica è molto tradizionale, inoltre sono presenti tutte le figure che ci si può aspettare in un dramma sociale con una nota di sentimento. Troviamo Köhner, un padrone innamorato di Andrea, una ragazza buona, dolce e ingenua, ma anche l’eroe positivo che a sua volta ama la ragazza, in maniera questa volta corrisposta; poi il padre di lei, medico e alcolista (che ricorda la fisicità di Welles) e non mancano nemmeno i caratteristi, alcuni dei quali conferiscono una sottile venatura ironica permettendo allo spettatore di abbozzare un sorriso all’interno di un dramma senza speranza.

D’altro canto invece il film dichiara immediatamente di non voler risparmiare nulla allo spettatore, lontano dalle limitazioni e regole che si applicavano negli USA col Production Code o peggio nei Paesi europei afflitti dai totalitarismi. Prisioneros de la Tierra si apre con un bacio tra il protagonista e una prostituta, procede mostrando “una lei e un lui, immagino non sposati, né con l’intenzione di farlo, che passano la notte insieme senza tanti preamboli o spiegazioni”. Queste sono le premesse per tutto il carico di violenza mostrata nella seconda parte: i mensù si ribellano e l’eroe positivo si fa simbolo degli oppressi, brandendo una frusta e scagliandola sull’oppressore senza pietà alcuna (conoscendo la cinefilia e il citazionismo di Tarantino non suonerebbe strano che ne sia stato ispirato per le sequenze con la frusta di Django Unchained); l’alcol farà perdere il senno al dottore che commetterà un gesto efferato e, infine, il protagonista andrà consapevolmente incontro al suo tragico destino.

Prisioneros de le tierra è un film in cui emergono lucidamente e brutalmente la disperazione, le vessazioni e i soprusi ai quali sono costretti i braccianti argentini, nel quale non si vede alcun barlume di speranza di cambiamenti sociali. Una pellicola coraggiosa che rompe le convenzioni classiche delle narrazioni del tempo, molto amata anche da Jorge Luis Borges che ne parlò in questi termini: “In altri film, sono i personaggi brutali a compiere atti brutali; in Prisioneros de la tierra è l’eroe, imprimendo alla storia una forza quasi intollerabile”.