Sono anni ormai che Herzog affascina il pubblico con documentari raffinati e ricercati nei soggetti e nelle forme, riflessioni per immagini sui temi più vari ma sempre riconducibili a una propria visione della realtà contemporanea. Con Nomad – In cammino con Bruce Chatwin, il regista realizza uno dei suoi lavori più intimi, omaggiando l’amico e noto scrittore, ultimo grande narratore di viaggio del secolo scorso.

Teorico del nomadismo e instancabile conoscitore, Chatwin è la quintessenza romantica dell’esploratore, per cui il viaggio è un mezzo per scoprire culture diverse attraverso le quali comprendere meglio sé stessi. Non è dunque un’esagerazione definire le sue spedizioni “esplorazioni dell’anima”, una ricerca quasi ossessiva che ha caratterizzato la breve vita del letterato.

E chi poteva indagare questa essenza meglio del cineasta tedesco che ha fatto del viaggio la forma più profonda di racconto interiore? Herzog si approccia a Chatwin con un misto di riverenza e nostalgia, ricordando un forte legame durato anni che ha segnato e influenzato l’arte di entrambi, come dimostrano le collaborazioni, i confronti, i riferimenti reciproci presenti nei rispettivi lavori. Ma Nomad non è solo questo. Con quel pizzico di follia che caratterizza il suo cinema, Herzog compie qui un viaggio sulle orme dell’amico, andando a toccare molti dei luoghi a lui cari, in una sorta di pellegrinaggio in onore anche della sua opera. Dalla Patagonia sulle tracce del milodonte di Eberhard alle vie dei canti aborigeni in Australia, dal complesso neolitico ad Avebury alla casa nella campagna gallese dove amava rifugiarsi.

Ne esce così un’immagine completa dell’uomo e dell’artista, un film che non è una biografia ma piuttosto un racconto per appunti, come quelli che l’autore amava tenere nei suoi diari, una sorta di cronaca romanzata delle proprie esperienze che abbelliva non per falsificarle bensì renderle ancora più vere. Come sostiene Nicholas Shakespeare, biografo di Chatwin: “Bruce non diceva mezze verità, diceva una verità e mezza”. È questa in fondo la stessa natura contraddittoria del cinema documentario, che idealmente descrive il reale senza finzione così come appare davanti alla macchina da presa, ma che finisce comunque per filtrarlo attraverso lo sguardo del regista, che sceglie cosa, come e quanto mostrare. Un’inevitabile interpretazione, analisi e conseguente comprensione frutto dell’intelletto e non del solo istinto che viene così ad “aumentare” la realtà stessa. Così fa anche Herzog in Nomad, raccontando sì lo scrittore ma elaborando la sua figura e la sua opera, facendone ennesima tappa del viaggio infinito alla ricerca di sé e della natura umana.