La donna alla finestra, il nuovo film di Joe Wright, si apre con uno schermo nero sul quale volteggiano e ruotano dei fiocchi di neve. Nella sua sfericità, l'inquadratura ricorda una palla di vetro iridea e sfocia proprio nell'apertura di un occhio. L'occhio di Anna Fox, interpretata da Amy Adams, che è l'artefice dell'intero film, custode della rete dello sguardo e destinatario del turbinio delle immagini. Ma la direzione dello sguardo e la tensione voyeuristica non sono rivolte verso l'esterno, bensì verso l'interno della mente e dell'inconscio. Un legame che prende corpo con l'associazione tra l'occhio e le carrellate sulle stanze della casa, che vanno a sottolineare la centralità organica del luogo. Tali inquadrature, e non solo, riportano alla mente l'inizio di Panic Room e anche il film di Wright, come quello di Fincher, utilizza lo scollamento dello sguardo digitale per la rappresentazione fisica e interiore, narrando la minaccia di un esterno che non esiste.

Anna Fox è una psicologa che soffre di agorafobia e che passa le giornate rinchiusa in casa ad osservare i dirimpettai e a guardare vecchi film noir che ormai conosce a memoria e che riecheggiano nella narrazione stessa, soprattutto La finestra sul cortile. Una condizione psicologica scaturita da un trauma subito e dal senso di colpa generatosi in lei, che l'hanno fatta sprofondare in un baratro esistenziale, serrata in una prigione ipnagogica. Per rimanere in contatto con sé stessa, Anna si aggrappa alle azioni rituali e soprattutto all'osservazione, ma è proprio il flusso delle immagini che finisce con l'ottenebrare la realtà illusoria e fantasmatica in cui vive. I personaggi che gravitano attorno a lei, come i nuovi vicini di casa che sono i protagonisti di un presunto omicidio, altro non sono che spettri che appaiono e scompaiono nell'immagine e nella sua mente. Molto spesso vengono inquadrati attraverso porte e finestre, varchi che accentuano la frammentazione e destrutturazione del personaggio.

Quando Anna osserva alla finestra, dirige lo sguardo verso uno spazio immateriale; la strada e la città, che vediamo solo nell'ultima inquadratura, sono luoghi tesi all'astrazione, invalicabili, irraggiungibili, la cui distanza viene totalmente annullata da una mano insanguinata che batte contemporaneamente sulla finestra dei vicini e su quella della casa della protagonista. Sono i fondamenti dell'immagine digitale, che mente, si dissolve, ingloba, specula. E dunque la finestra e l'esterno finiscono con l'essere uno specchio, tramite il quale Anna osserva sé stessa. Estensione della sua esistenza che restituisce lo sguardo e dalla quale sopraggiungono i fantasmi che affollano il racconto. Tra di essi c'è Jane Russell, la donna che vive due volte, che si presenta quasi come doppio della protagonista. Due donne che vogliono solo riabbracciare i figli ed essere credute, accettate.

I colori vivi e accesi, soprattutto il rosso, rispecchiano ed esaltano i contrasti psicologici. Una condizione alimentata costantemente dalle immagini che si pongono come frammenti identitari e mnemonici, andando a comporre lo scenario visivo nella sua accezione di proiezione del personaggio. Joe Wright dunque si disinteressa della verosimiglianza e della strutturazione narrativa e riflette con e sulle immagini, che nella nostra società rendono sempre più labile il confine tra realtà e finzione, ponendole al centro della sua costruzione con uno sguardo sulla soggettività, assimilata o replicata dalla macchina da presa.

In La donna alla finestra le immagini del passato, di quei film noir di cui è appassionata e che risultano bloccate, disgregate dall'apparecchio televisivo o dal manto onirico, vengono affiancate a quelle della contemporaneità, sugli schermi del cellulare, primo oggetto che Anna ricerca d'impulso ad ogni risveglio, del computer e della macchina fotografica. Ed è proprio quando riesce a cogliere il collegamento alla realtà nell'immagine, ricordandosi di una foto che aveva scattato, che Anna riesce a ritrovarsi e a uscire dall'oscuro abisso in cui era relegata. Nel finale, inquadrature speculari a quelle iniziali terminano il racconto, riconducendoci all'esterno. Ma se all'inizio le stanze della casa erano vuote, alla fine vedono presente Anna, che ha riacquistato la propria centralità.