All’ovest niente di nuovo, film di Lewis Milestone, è tratto dal romanzo di Erich Maria Remarque Niente di nuovo sul fronte occidentale, dal quale riprende l’incisiva introduzione in cui si leggono la volontà e “il tentativo di raffigurare una generazione la quale – anche se sfuggì alle granate – venne distrutta dalla guerra”; non è un’accusa né una confessione, spiegano entrambi, ma una doverosa riflessione postuma (il libro uscì nel 1929) depurata da ogni facile retorica.

Durante la prima guerra mondiale Milestone, inviato al fronte, entra nei Signal Corps dove effettua delle riprese per l’esercito americano. La Grande guerra è anche il primo conflitto mediatico e viene completamente revisionato dai comandi militari, la censura del massacro è ripresa dai cineoperatori che non riescono a registrare ciò che realmente accade sul campo di battaglia, oltre all’evidente rischio di essere colpiti, le scomode macchine da presa non permettono di mostrare lo scontro vero e proprio e filmano la quotidianità nelle trincee, gli ospedali e le ordinate marce delle truppe. Questi materiali devono rassicurare il pubblico del fronte interno, i cinegiornali hanno lo scopo di raccontare una guerra ineluttabile attraverso immagini edulcorate di soldati ben equipaggiati: tra le truppe il morale è alto e il nemico crudele e incivile va sconfitto.

Mentre il cinema documentario resta relegato nelle retrovie, quello di finzione “sopperirà all’assenza reinventando in modo verosimile l’evento e fissandolo iterativamente: la battaglia della prima guerra è solo battaglia cinematografica”. (G. Ghigi, Le ceneri del passato. Il cinema racconta la Grande guerra, 2014)

La ricostruzione che ne farà il cinema sarà per forza di cose una messa in scena del conflitto, restando impossibile una resa oggettiva dell’evento bellico nella sua totalità: “Di tutte le scene di battaglia cui ho assistito – ricorda Blaise Cendrars nel romanzo La mano mozza (1946) – m’è rimasta soltanto l’immagine d’un gran casino. (…) Lì sul posto e nel fuoco dell’azione non ci se ne rende conto. Manca la prospettiva per poter giudicare e non si ha il tempo di farsi un’opinione”.

Paul Bäumer e i suoi compagni di scuola – tornando al film All’ovest niente di nuovo – sono indottrinati dal professor Kantorek e chiamati a onorare la patria. Tolti i vestiti borghesi e indossata la divisa dell’esercito tedesco comincia il lento e inesorabile processo di smaterializzazione delle loro identità: “forget everything you ever knew. Everything you ever learned, forget! Forget what you’ve been and what you think you’re going to be. You’re going to be soldiers, and that’s all!”, questo è uno degli insegnamenti impartiti durante il periodo d’addestramento, preziosi e imprescindibili consigli per affrontare la dura realtà della vita in trincea. Una mutazione visibile sui volti anneriti e negli sguardi annebbiati e spesso allucinati dei soldati, non è solo il fronte a metterli a dura prova, lo sarà il contatto con un’esistenza passata talmente distante che riaffiora a fatica durante i periodi di licenza.

La scena dell’incontro tra Paul e Kantorek, che ancora una volta incita gli studenti, riassume il rientro e il reinserimento traumatico del protagonista nella società; incoraggiato dal professore a parlare alle future giovani reclute non riesce ad esprimersi, lo sguardo tradisce i suoi pensieri che presto risuonano nella classe: “It’s dirty and painful to die for your country. When it comes to dying for your country, it’s better not to die at all!”.

Questo confronto con l’ottusa e parziale visione della guerra, attraverso il filtro dell’occhio patriottico di chi è rimasto e osserva i campi di battaglia su una cartina topografica non si trova solo al ritorno a casa, sono gli stessi generali a non visitare le trincee e gli ospedali, evitando i sensi di colpa quando ordinano gli attacchi. Il comandante viene descritto come un uomo seduto su “una comoda sedia davanti ad un largo tavolo, il moderno Alessandro domina con lo sguardo l’intero campo di battaglia su una carta”. (Le ceneri del passato, 2014)

Il film Les Croix de Bois di Raymond Bernard (1931), tratto dall’omonimo romanzo di Roland Dorgelès del 1919, si apre con un battaglione di fanti allineati, parte la dissolvenza e questi vengono sostituiti da una distesa di croci bianche; l’anno prima Milestone mostrava nel finale di All’ovest niente di nuovo i giovani protagonisti in marcia, un percorso a ritroso  che sovrappone l’immagine iniziale del gruppo che si addentra nella terra di nessuno a un anonimo cimitero militare. Un’ultima marcia, un’accusa silenziosa, gli sguardi in camera rassegnati e spaventati di chi è stato travolto dalla retorica nazionalista, conosciuta in modo ingenuo ed euforico tra i banchi di scuola. Una generazione incoraggiata da una propaganda chiassosa che rispolvera frasi di Orazio solenni e inconfutabili pronte a mascherare l’insensatezza della guerra: “The old Lie: dulce et decorum est pro patria mori”, scriveva nel 1917 il poeta inglese Wilfred Owen.