Parliamo ancora di Archivio Aperto (rassegna organizzata da Home Movies che proseguirà fino al 2 dicembre) soffermandoci sull’incontro dedicato ai Cineguf, curato da Andrea Mariani (Università di Udine). Opere poco conosciute conservate all’interno delle cineteche e spesso ignorate dalla cultura istituzionale, alcune di queste pellicole sono state digitalizzate grazie al lavoro de La Camera Ottica di Gorizia; due di esse invece provengono dal Fondo F.lli Chierici e dopo il recupero di Home Movies sono entrate a far parte dell’Archivio Nazionale del Film di Famiglia.

Nei Cineguf, dove Guf sta per Gruppi Universitari Fascisti, confluiscono a partire dagli anni '30 tutte le attività cineamatoriali. Numerosi i giovani cineasti coinvolti sul territorio nazionale, un vero e proprio movimento che rielabora la tradizione del cinema d’avanguardia internazionale dando una personale e singolare definizione di cinema sperimentale intriso dell’ideologia fascista. Un’esperienza breve ma proficua, sono più di cinquecento i film prodotti anche se si ipotizza che ce ne siano molti di più, conclusasi con la caduta del fascismo.

Alla ricerca formale e creativa si privilegia l’apprendimento di una pratica e la costruzione del film mettendo al servizio del regime la competenza tecnica delle sezioni dei Cineguf, questa squadra, sono più di novanta i gruppi disseminati in tutta Italia, viene coinvolta dalle strutture del regime in ambito locale per documentare la vita della società fascista.

I Cineguf contribuiscono a formare una nuova estetica cinematografica e nello stesso tempo una sorta di vera e propria avanguardia in cui troviamo gran parte della generazione del neorealismo che farà cinema dalla fine degli anni '40 agli anni '50 e la conoscenza del cinema internazionale contribuisce a formarla, una contraddizione se si pensa al cinema fascista e alla volontà di essere puramente italiano e nazionale. I cineguffini ripensano il cinema italiano e portano avanti il gravoso compito di rimettere in piedi la produzione e la cultura cinematografica.

Le sezioni cinematografiche dei Guf, a cui potevano partecipare tutti gli studenti universitari e i lavoratori, vengono equipaggiate attraverso un accordo tra l’Istituto Luce e il Partito nazionale fascista, in base alla bravura delle sezioni nei vari concorsi vengono distribuiti premi e attrezzature. I film realizzati circolano lungo la penisola mostrando le varie realtà locali e vengono accolti all’interno delle celebrazioni del regime come i Littoriali della cultura e dell’arte.

Va quindi evidenziato che entrare nei Cineguf significa avere accesso alla tecnologia cinematografica gratuitamente ma è altrettanto significativa la fruizione di cinematografie straniere altrimenti non accessibili; i cineasti in un secondo momento, imparato il mestiere, possono essere selezionati dal Centro sperimentale di cinematografia e intraprendere un’autentica carriera professionale. Questo deve avere spinto giovani registi alle prime armi a diventare parte di una vasta comunità che con il consenso del regime può avere accesso alla pratica cinematografica, trai i tanti vanno ricordati, solo per citarne alcuni, Mario Monicelli e Luigi Comencini nel Cineguf milanese e Michelangelo Antonioni che tiene l’amministrazione della sede di Ferrara.

Questo movimento trova il proprio manifesto nel libro Cinema Sperimentale pubblicato nel 1937 da Domenico Paolella, giovane regista allora nel Cineguf di Napoli, in questo testo, una delle prime riflessioni sul cinema sperimentale, vengono raccolti duecento titoli, prevalentemente girati a passo ridotto in 16 mm, tutti corto/mediometraggi che hanno una durata più o meno di mezz’ora. Paolella sposta l’attenzione dal piano della creazione a quello prettamente tecnico della costruzione del film: “La parola sperimentale ha perduto il suo antico valore, per essere appropriata ad una categoria più estesa, in cui il tentativo consiste proprio nella costruzione totale del film in tutte le sue parti, di qualunque genere esso sia”.

Nella categoria dello sperimentale, per sua natura indefinibile, rientrano quindi tutti i generi cinematografici, dai documentari scientifici e turistici ai film di finzione, non mancano cartoni animati e cinema astratto (ne è un esempio Film n. 4 di Luigi Veronesi, 1940, che viene prodotto con il Cineguf di Milano). Bisogna aggiungere che questo è un caso unico nel suo genere ed è esclusivamente all’interno del contesto dei Cineguf che questi film possono definirsi sperimentali.

La piccola selezione della vasta produzione cinematografica mostrata ad Archivio Aperto comprende il film dal titolo Cineguf Genova – Attività dell’Anno XIX (1940) dei fratelli Chierici, una sorta di cinegiornale delle attività del Guf nell’area di Genova, anch’esso rientra nel cinema sperimentale non tanto per la ricerca stilistica ma perché prodotto dalle strutture dei Guf che lo qualificano come tale. I cineguffini non rinunciano a dare sfoggio della loro cultura cinematografica citando i film d’avanguardia, in questo caso è evidente il richiamo non velato a L’uomo con la macchina da presa di Dziga Vertov (1929) nella lunga sequenza in cui si illustrano le apparecchiature di cui è dotata la sezione genovese, quasi un culto della tecnologia posto fin dal principio al centro degli interessi del movimento.

Bimbi a scuola (1939), sempre dei F.lli Chierici, mostra invece la realtà locale, la vita degli alunni di una scuola di campagna in cui documentario e fiction si fondono. Sinfonie della vita e del lavoro, di Ubaldo Magnaghi, giovane regista e fotografo, prodotto nel 1934, anno di passaggio dalla fase indipendente all’istituzionalizzazione dei Cineguf, si compone di alcuni episodi scanditi da un titolo che riguarda un tema, il film viene proiettato in programmi assieme a Ballet mécanique di Fernand Léger (1924) e L’étoile de mer di Man Ray (1928) e si inserisce perfettamente nella tradizione del cinema d’avanguardia rielaborando la cultura cinematografica dei Cine-club nati in Italia a partire dal 1926.

Anche il documentario scientifico neuropatologico rientra nella nozione di sperimentale, gli studenti dell’università possono richiedere ai Guf di produrre dei piccoli film, questo avviene ad esempio nell’ospedale psichiatrico di Perugia che coinvolge il Cineguf della città nella registrazione di un Interessante caso di spasmo da torsione, realizzato da Mario Bencivenga nel febbraio del 1937. Pellicola che documenta questa patologia rara di cui il cineasta ricerca i segni mostrandoci l’infermiera che tenta di placare le contrazioni del corpo della paziente.

La possibilità di avere una macchina da presa di piccole dimensioni favorisce i movimenti intorno al corpo, le inquadrature ravvicinate che il formato ridotto permette si allontanano dalla tradizione dei filmati neuropatologici di Camillo Negro e Vincenzo Neri. Un’altra pellicola, conservata nella Cineteca di Bologna, è La città nemica (1939), film di finzione girato niente meno che Renzo Renzi, all'epoca appartenente al Cineguf di Bologna, a ridosso dell’ingresso in guerra. Il film, palesemente interventista, ha anche un secondo titolo in spagnolo La ciudad enemiga ed è ambientato in Spagna durante la guerra civile, tema caldo per i giovani del periodo e verifica degli esordi rivoluzionari del fascismo infranti dall’istituzionalizzazione del regime.

Renzi lo ambienta in una Bologna tramutata per l’occasione in città spagnola e mette ben in evidenza le influenze del cinema internazionale, in modo particolare compaiono espliciti richiami a Lampi sul Messico di Sergej M. Ejzenštein (1933) e Luci della città di Charlie Chaplin (1931). La città nemica viene girato prevalentemente in esterni, caratteristica ricorrente nel cinema dei Cineguf che realizzano i loro film prevalentemente nel periodo estivo durante la pausa dalle lezioni. Renzi cerca di coniugare la ricerca di realismo dei Cineguf (abituati a girare documentari nelle sedi locali) con le tensioni dell’avanguardia attraverso la sperimentazione della tecnologia, predominante soprattutto nel finale del film, in cui la spinta rivoluzionaria e la dimensione spirituale del regime provocano nel protagonista un conflitto interiore.

Il Covo (1941), ultima proiezione della rassegna, è un cortometraggio diretto da Luciano Emmer e Vittorio Carpignano, prodotto dallo stesso Emmer e dall’amico Enrico Gras che fondano all’interno del Cineguf di Milano la Dolomiti film incaricata dal Partito nazionale fascista e dall’Istituto Luce di girare un documentario per le celebrazioni del ventennale. Il filmato viene realizzato per promuovere la nuova sede della Scuola di Mistica Fascista, uno dei nuclei concettuali e filosofici del regime all’interno dell’Università di Milano che trova spazio nella sede dove è stato fondato da Benito Mussolini Il Popolo d’Italia, tempio della retorica fascista.

Un film che vuole ricostruire le principali tappe della rivoluzione fascista in rottura con lo stile retorico dell’Istituto Luce, non prevedendo un enfatico commento parlato, ma divenendo una sinfonia visiva, metafora della spiritualità fascista fatta di musica sinfonica, rumori e canzoni popolari. Le recensioni accolgono favorevolmente Il Covo definendo quest’opera il risultato di un’avanguardia “responsabile” dove l’equilibrio tra il documentario e la ricerca d’avanguardia  danno forma a un realismo moderno.

La serata in cui viene proiettato Ossessione di Luchino Visconti, organizzata dal Guf di Roma nel giugno del '43, sancisce simbolicamente la fine dei Cineguf e l’inizio di un realismo nuovo, sintesi delle ricerche cinematografiche di un movimento di massa che ha avuto un suo manifesto e una vasta produzione da loro definita cinema sperimentale.