Quando un gruppo di persone vive in un ambiente isolato, l'insorgere di una gerarchizzazione sociale dapprima definita poi disgregante e belluina sembra essere inevitabile. L'incedere pulsionale di Monos si manifesta nella gestione febbrile delle leggi e del potere tra i componenti di un gruppo di banditi, guerriglieri adolescenti costretti tra inferno e paradiso a subire l'esperienza fluviale di un contesto bellico annesso al proprio edonismo giovanile, come un fiume con immense volute che si snoda e si increspa.

Monos, diretto da Alejandro Landes (Porfirio), è ambientato in una remota zona montuosa dell'America Latina, in cui un giovane gruppo di soldati e ribelli - che portano nomi come Lady, Cane, Gambalunga, Boom Boom, Rambo, Puffo - sorvegliano una donna, Doctora (Julianne Nicholson), ostaggio dell'Organizzazione. Come accade ne La paranza dei bambini, diretto da Claudio Giovannesi, anche in Monos i ragazzi vivono il proprio apprendistato al potere come un patto incontrastabile, irreversibile, con una forza sovversiva conosciuta solo come Organizzazione che li costringe ad un addestramento militare e a una trincea sempiterna.

Questo gruppo di ragazzini subisce una società disfunzionale, un ambiente senza tempo, in un non luogo che come concetto si avvicina moltissimo a Il signore delle mosche di William Golding, in cui predomina l'iconografia del conflitto e l'idiosincrasia alla disciplina che finisce per offuscare tutto, anche i concetti di bene e male. Tutti i confini, geografici, mentali, fisici, sono dissolti, demoliti. Nonostante le scene riguardino un entroterra montuoso piuttosto rigoglioso e in seguito questa ambientazione ceda il passo ad una giungla claustrofobica e abbacinante, l'idea del regista è di dare ampio margine al paesaggio, ma solo se disincarnato dall'elemento del naturalismo: Alejandro Landes è molto più iperreale e distopico, l'ambiente serve solo per rispecchiare le sensazioni dei personaggi e i loro conflitti.

L'idea che l'avversario dell'Organizzazione non venga mai dichiarato né mostrato è indice di una volontà piuttosto precisa di recidere la guerra da un elemento ideologico ottundente; Landes usa il conflitto per esplorare la ferocia e la paura, tutto il sottotesto politico e bellico è ambiguo, non sappiamo chi sia l'avversario perché in realtà la battaglia è interiore. Landes non sceglie un protagonista, il personaggio principale è il gruppo, l'io è sfrangiato, il noi è ipertrofico. Non abbiamo conoscenza né dettagli sulla vita passata di questi ragazzi; non esiste motivazione, né ragioni del loro coinvolgimento alla guerriglia, non esiste neppure un'identità precisa se non quella dettata dai loro soprannomi. L'intenzione è quella di serrare la narrazione, di cristallizzarla in un presente perpetuo, restituendo alla storia la sua dimensione fluviale, tortuosa, imprevedibile. 

Il regista ci mostra l'unione e la disgregazione del gruppo, quando e come si forma, quotidianamente, come viene poi frammentato, come le alleanze si innestano e si infrangono. Tutto in linea con l'ambiente, con un elemento naturale che cambia e li cambia, profondamente, dal trasferimento dalle cime nebbiose, con l'aria rarefatta delle montagne, fino all'intensa claustrofobia della giungla; i ragazzi iniziano a perdere il controllo del loro (non) luogo, precipitando nel caos. Le immagini sono suggestive, tentacolari, oscillando dai volti pieni di fango, alle risse, ai panorami della vegetazione, selvaggi, eterei, ma non per questo meno inquietanti e allucinatori.

Monos è un racconto corale, un'elegia adolescenziale nel suo stato più bestiale, intrappolata in una logica di violenza. Come gruppo è capace di una violenza ricorrente, con un codice di condotta draconiano, crudele e sadico; l'incontro e lo scontro tra i corpi è persistente, al centro di Monos c'è la carne, adoperata come corpo contundente, come parte dell'indottrinamento, di un senso di appartenenza. La carne è parte di un rituale, primitivo, ancestrale, che li lega inesorabilmente l'uno all'altro, come un nodo stretto da un patto di sangue; è parte della loro sessualità che sfugge dalle gerarchie perché è dissoluta, aperta, libera. Monos è un racconto sensoriale, una favola apocalittica che seduce, ipnotizza e inquieta.