Voce del verbo relazione. Film “scandalo” – più per ragioni commerciali, si spera – del 75o Festival di Cannes, selezione Acid, l’ultimo lavoro di Jan Gassmann è un’opera ambiziosa che cerca di mostrare gli aspetti contraddittori ed incontrollabili dell’attrazione attraverso la storia di un rapporto in cui il verbo “amare” non si sente, quasi, mai.

Il film segue per 99 lune, otto anni circa, la relazione burrascosa tra gli svizzeri Bigna (Valentina Di Pace) e Frank (Dominik Fellmann). Lei è una ricercatrice, alla fine dei vent’anni, che studia i movimenti degli animali in relazione ai disastri naturali (tsunami, terremoti); lui, poco più che trentenne, vive alla ricerca del piacere, mantenendosi come barista in una silent disco.

I loro mondi si scontrano in un parcheggio, durante uno degli incontri sessuali che Bigna organizza per fuggire dalla quotidianità opprimente del laboratorio. Esperimenti di piacere in vitro: aggressioni simulate da parte di uomini mascherati, che poi Bigna domina, sedendosi sulla loro faccia e soffocandoli. Secondo un copione stabilito gli uomini non possono toccarla e, quando lei ha raggiunto l’orgasmo, spariscono. Uno rimane per un caso nella sua vita: Frank.

Relazione, istinto, controllo: c’è già tutto nei titoli di testa con le immagini di animali e cataclismi che danzano sulle note del Giustino di Vivaldi. L’attrazione. Vedrò con mio diletto l’alma dell’alma mia. L’allontanamento. E se dal caro oggetto, lungi convien che sia... Il controllo di musica e parole sul sentimento. Sospirerò penando. L’istinto degli animali che avvertono i cataclismi. Ogni momento. Lo tsunami che travolge tutto.

Su queste note si muove il film e si muovono Bigna e Frank interpretati con forza dai due attori non professionisti, che danno un volto perfetto – e non idealizzato – alla lotta fra piacere e relazione, fra libertà ed istituzioni borghesi: famiglia e matrimonio sono i convitati di pietra sullo sfondo. Così i due protagonisti desiderano sempre ciò che non concedono all’altro. Su questo si gioca la forza di 99 Lune e lo scandalo sembra più che altro una trovata pubblicitaria che non rende omaggio alla delicatezza con cui Gassmann racconta la sessualità: il sesso è sempre protetto e le scene sono state girate con l’aiuto di un’intimacy coordinator (Cornelia Dworak), che ha seguito gli attori non solo nella coreografia ma anche nella gestione psicologica delle scene.

Questa consapevole delicatezza si riflette anche nel racconto del disagio relazionale dei protagonisti. Per questo, come per la centralità di Bigna, il cui volto apre e chiude la storia, 99 Lune ricorda alcuni film recenti (La persona peggiore del mondo, Ninja Baby). Anche Gassmann non cerca la diagnosi ma il racconto: il passato di Bigna e Frank è assente. Rispetto ai film di Trier e Flikke scompaiono anche le esplosioni di subconscio. Quello che resta sono i movimenti dei corpi nudi di Bigna e Frank, che si avvicinano, si allontanano, tremano di piacere e paura.

Gassmann ha il pregio di raccontare questa storia per immagini, anche se cade, a volte, in metafore forse un po’ retoriche, come una carezza attraverso il finestrino chiuso di un’auto. Ma alla fine, senza pretese di originalità, il film ci lascia il dubbio che il verbo “amare” sia una facile alternativa per non porsi il problema di coniugare un sostantivo: “relazione”.