Andrej Tarkovskij affermava che il cinema fosse l’arte di scolpire il tempo. Sébastien Lifshitz torna su questo assunto oggi, quando più che mai i concetti di arte, tempo e soprattutto cinema sono sempre più labili. Adolescenti è un documentario vestito da teen drama, o viceversa. È il riassunto di cinque anni trascorsi accanto a due ragazze che, semplicemente, dovevano fare i conti con la crescita. Dalla scelta della scuola superiore sino alla scelta dell’università, Emma e Anaïs ridono, piangono, crescono, cambiano. Eppure in un lustro non saranno solo loro a subire in maniera indelebile lo scorrere del tempo, ma anche tutto ciò che le circonda (cinepresa e regista inclusi).

Adolescenti quindi cambia con il cambiare delle sue protagoniste. Il film cresce e invecchia con loro, mutando al mutare dei sentimenti delle due ragazze e indossando la maschera del tempo per seguire passo passo uno dei periodi più confusi, imprevedibili e irrazionali della vita. Da qui l’esigenza di spezzare il ritmo, alternare sequenze riflessive a momenti più concitati. Adolescenti è un documentario di osservazione che si muove come si muovono le vite delle giovani: improvvisando.

La componente meno cinematografica e più anarchica è la caratteristica principale di un progetto profondamente sincero che dal particolare allarga il suo sguardo al generale. Le vite di Emma e Anaïs sono infatti il pretesto per raccontare l’adolescenza di una nazione (la Francia). Sono anni confusi, instabili. Anni in cui le azioni sembrano guidate dalla pancia, dal cuore, non dalla lucidità propria della testa. La Francia vive la sua adolescenza tra elezioni populiste, attentati terroristici e proteste di massa. Tutto viene documentato e ripreso dal film che quindi pesca imprevedibilmente dalla folla due amiche da seguire per un lustro come campione esemplare per raccontare di un popolo.

Risulta quasi miracoloso il lavoro di “spionaggio” orchestrato da un regista sempre presente ma  mai visibile. Adolescenti è talmente fluido e veritiero da sembrare finto. Lifshitz mette infatti la sua firma su un dramma che ha tutte le caratteristiche dei canovacci ormai più classici: amicizia, gelosia, fisicità, sessualità, divertimento, studio, lavoro, preoccupazioni, malattia. Tutto questo e anche di più viene mostrato risultando quasi stereotipato. Dimostrando non solo quanto il cinema debba alla vita e quanto poco accada il contrario, ma anche che le sensazioni e i sentimenti presenti in questo film siano così potenti da essere sprigionati a gran voce nonostante una serie di trovate distanti dal voler essere originali o ricercate.  Siamo lontani dall’occhio voyeristico di Kechiche o dalla messa in scena temporale di Boyhood.

Adolescenti si inserisce nel medesimo dialogo ma parla una lingua completamente diversa. Una lingua semplice e universale, meno calcolata e più immediata. Una lingua in grado di sprigionare sprazzi di autenticità come pochi altri sanno garantire. Una lingua che non si dimentica, proprio come non si dimentica l’adolescenza. Forse gli anni più belli, destinati però a terminare con la paura del futuro e il peso massiccio dell’età adulta che bussa alla porta (come si vede nel bellissimo, tesissimo, finale).