Questo articolo vuole riportare l’attenzione su un attore, forse dai più dimenticato a oltre 20 anni dalla scomparsa, che ha saputo, non senza difficoltà, coniugare l’attività teatrale, televisiva e cinematografica durante una lunga carriera di successi e, come per tanti, di scivoloni, mai definitivi, con i quali ha saputo convivere trasmettendo “un’idea della vita realistica, disincantata, scettica, terremotata”. (Tullio Kezich in Omaggio a Alberto Lionello, 1999).
Sul n. 31 del Radiocorriere TV del 1962 appare un’intervista ad Alberto Lionello, oramai divenuto per tutti il “Signor la-la-la-la” dopo il successo di Canzonissima del '60, un’apparizione televisiva che ha segnato positivamente la carriera di questo attore-chansonnier ma che rischia di stargli stretta e soffocarlo, continui gli assillanti squilli del telefono nella sua abitazione, ammiratori anonimi cantano spensierati quel motivetto per poi tacere, un ritornello che lo perseguita ma, come lui stesso osserva, ha il vantaggio di non farlo finire prematuramente nel dimenticatoio.
All’apice del successo Lionello sembra fare il punto della situazione, orgoglioso di aver studiato alla scuola dell’avanspettacolo, dalla quale sono usciti nomi celebri come Alberto Sordi, Renato Rascel, Carlo Dapporto e Walter Chiari, e che gli ha dato un’impronta ben definita, divertire e pensare soprattutto al pubblico sono l’aspetto fondamentale dei suoi spettacoli, il rischio è che con il teatro classico questo venga a mancare, qui gli attori sembrano perlopiù recitare “per un proprio raffinatissimo piacere intellettuale, infischiandosene allegramente di chi li sta ad osservare”.
Tra le varie previsioni per il futuro, riportate nell’articolo, a Lionello preme la sua scoperta da parte di importanti registi come Fellini, Antonioni o Petri, anche in età avanzata: “Salvo Randone è arrivato a essere protagonista di un film a 57 anni. Posso aspettare anch’io”. Purtroppo negli anni successivi non essere chiamato da quei registi diviene per lui una fastidiosa pulce nell’orecchio che sembra insinuargli false verità sul suo reale valore e sulle sue evidenti capacità, mostrate anche al cinema con le felici interpretazioni nei film di Pietro Germi, Pier Paolo Pasolini, Dino Risi, Luigi Comencini e Mauro Bolognini.
Nel '49 Lionello debutta con la compagnia di Antonio Gandusio dopo aver frequentato L’Accademia dei Filodrammatici a Milano, sua città natale. In un secondo momento entra nella Compagnia Solari-Porelli-Garrani-Tedeschi-Riva, con La pulce nell’orecchio di George Feydeau, regia di Georges Vitaly, il suo ruolo è quello di un giovane tormentato da un difetto di pronuncia. Grazie a Luigi Squarzina avrà modo di tornare in scena con La pulce nell’orecchio (1967), questa volta da protagonista affiancato da Olga Villi, marito e moglie come in Signore & signori (1965), film di Pietro Germi nel quale la sofferta e falsa impotenza segretamente rivelata all’amico medico e l’utilizzo delle bretelle come prova del tradimento sembrano in modo un po’ sarcastico richiamare Feydeau.
Successivamente “fa ditta” con Elsa Merlini e Ivo Garrani e lo stesso anno lavora con Sergio Tofano in Pensaci Giacomino! di Luigi Pirandello; prosegue la formazione dal '53 al '55 accanto a Wanda Osiris, Erminio Macario e Dorian Gray in Made in Italy, poi nella rivista Festival di Age, Scarpelli, Verde e Vergani la cui direzione artistica è curata da Luchino Visconti, ancora una volta con la Osiris, Henri Salvador, Nino Manfredi, Elio Pandolfi e Raffaele Pisu.
Nel '54 hanno inizio le prime apparizioni televisive, in Gran Festival del varietà affianca, tra i tanti, Maurice Chevalier, del quale anni dopo farà l’imitazione a Canzonissima. Sembra che Macario lo considerasse, non solo per la paglietta sulle ventitré, lo “Chevalier italiano”. Lo stesso anno partecipa alla prima commedia trasmessa in televisione, regia di Daniele D’Anza, tratta da La carrozza del S.S. Sacramento di Prosper Mérimée, preceduta di due anni dal film di Jean Renoir La carrozza d’oro, tratto anch’esso dal testo di Mérimée che Luchino Visconti, ostacolato dalla censura, aveva tentato invano di mettere in scena.
Lionello compare per la prima volta sul grande schermo in Questa è la vita di Giorgio Pàstina, Luigi Zampa, Aldo Fabrizi e Mario Soldati, quest’ultimo è il regista dell’episodio Il ventaglino nel quale il giovane attore, poco più che una comparsa, indossa con disinvoltura la divisa da bersagliere. Proseguendo di pari passo l’attività teatrale, televisiva e cinematografica, ma privilegiando il palcoscenico, il teatro, appunto, dell’improvvisazione, Lionello affronta il pubblico con ardente passione, rinvigorita spesso e volentieri dalle numerose soddisfazioni che il successo gli procura, risultato più che meritato di una recitazione brillante.
In questi anni entra a fare parte della compagnia di Ernesto Calindri e Lina Volonghi e grazie a Lucio Ardenzi forma la Compagnia Volonghi-Masiero-Lionello recitando in due commedie musicali, Mare e whisky di Guido Rocca (regia Daniele D’Anza) e Il lieto fine di Luciano Salce nel '59. Mi sembra giusto ricordare i suoi disimpegnati, ma redditizi, sketchs pubblicitari a Carosello assieme alla Masiero, gli inseparabili Micio e Micia, coppia di innamorati un po’ sdolcinati e litigarelli. Anche il cinema non viene trascurato, Lionello gira Ricordati di Napoli di Pino Mercanti e Mia nonna poliziotto di Steno (con Tina Pica, Ugo Tognazzi, Mario Riva), impegni minori ai quali preferisce la fatica del commediante.
Siamo nel 1960 e ritroviamo Lionello e la Masiero assieme ad Aroldo Tieri nella conduzione di Canzonissima, quella, tanto per intenderci, del tormentone la-la-la-la. Conclusasi questa parentesi di notorietà sfrenata, Lionello cambia totalmente registro e inizia una longeva collaborazione con il Teatro Stabile di Genova diretto da Ivo Chiesa e Luigi Squarzina, quest’ultimo lo considera un attore “promiscuo” capace di cimentarsi in una variegata quantità di ruoli, dal primo attore al caratterista, ma anche da regista, un attore-strumento che si colloca fra gli “attori/artisti che pur non potendo fare nulla senza i testi conservano una autonomia creativa”.
Con il Teatro Stabile di Genova ha interpretato anche Il diavolo e il buon Dio di Jean Paul Sartre (1962). Ivo Chiesa ricorda che Sartre, vedendo Lionello ne I due gemelli veneziani di Carlo Goldoni (portato in tournée in Europa e in America), colpito dalla sua bravura e comicità non nasconde le proprie perplessità nell’immaginarsi lo stesso attore nei panni di Goetz, protagonista del suo Il diavolo e il buon Dio. Invitato ad assistere alla prima romana deve subito ricredersi: “mai il suo Goetz era stato interpretato con altrettanto rigore e al tempo stesso con così sfrenata fantasia”. (Omaggio a Alberto Lionello, 1999).
La prolificità di questo attore sul piccolo schermo sembra ricalcare in questo periodo quella a teatro, nel '64 è l’inetto della Coscienza di Zeno di Kezich, da Italo Svevo con la regia di Squarzina, seguito dall’adattamento televisivo di Kezich e Daniele D’Anza (1966); numerosi sono gli sceneggiati Rai che lo vedono protagonista come Oblomov di Gončarov, regia di Claudio Fino (1966), Orfeo in Paradiso di Luigi Santucci, regia Leandro Castellani (1971) e Vita di Puccini di Sandro Bolchi (1973). Giorgio Strehler propone a Lionello la parte di Goldoni in una biografia televisiva, ma nonostante l’interessante offerta rifiuta; Kezich racconta che Alberto evitò sempre i “registi-padroni”, l’essere un attore-strumento, capace di compiere scelte autonome non avrebbe di sicuro favorito la collaborazione.
Soffermandoci ancora sulla carriera cinematografica, nel '61 escono nelle sale Chi si ferma è perduto, commedia degli equivoci di Sergio Corbucci, con Totò e Peppino De Filippo, Cacciatori di dote, regia di Mario Amendola, con Lauretta Masiero, Aroldo Tieri e Riccardo Garrone, prosecuzione ideale di Canzonissima, e riproposizione del successo televisivo la-la-la-la. L’anno successivo Operazione Gold Ingot di Georges Lautner è un’esperienza infelice e rischia di allontanare definitivamente Lionello dal cinema: “Ciò che mi dispiace è di non avere ancora fatto un bel film. Di parti me ne hanno offerte moltissime, ma le ho tutte rifiutate. Ho preso questa decisione dopo aver visto un film girato in Francia, con Martine Carol, e che spero qui non daranno mai. L’ ho visto e mi sono detto: no, non è vero, io sono meglio di come mi fanno apparire. E così ho detto basta”. (Radiocorriere TV n. 31).
Tullio Kezich ricorda quanto l’altalenante carriera cinematografica sia per Lionello un vero e proprio cruccio, lui che desidera essere Tognazzi e curiosamente viceversa, sembra che Tognazzi “avrebbe voluto essere Lionello, cioè avere in ribalta la grinta, la padronanza e (perché no?) i momenti di gloria del collega”. La sua costante attività a teatro e le lunghe tournée scoraggiano qualunque regista: “Avrebbe dovuto mettersi sul mercato concedendosi un anno sabbatico”, spiega Kezich, “ma tenerlo lontano dalle scene per un’intera stagione era impensabile. Come per tutti i commedianti di razza, il teatro con i suoi orari disumani, le italiche abitudini da scavalcamontagna, i debutti lontani centinaia di chilometri costituivano le scansioni irrinunciabili dell’esistenza di Alberto, le sue università, il suo modo di stare dentro il gioco della vita”.
Le poche soddisfazioni che il grande schermo comporta non lo sconfortano, siamo nel 1964 tempo di Amore in 4 dimensioni di Massimo Mida, Jacques Romain, Gianni Puccini e Mino Guerrini che dirige un vivace Lionello, vedovo devoto e truffato, nell’episodio Amore e morte. È in Signore & signori di Pietro Germi (1965), quasi un prototipo veneto di Amici miei, che indossa i panni di Toni Gasparini, una delle sue migliori prove al cinema, grazie a una macchietta borghese in stile pochade.
Apro una breve e doverosa parentesi sul compianto Gastone Moschin, ragionier Visigato in questo film, sognatore ovattato (efficace l’espediente dei tappi auricolari) isolato dal resto del mondo per necessità. La felice esperienza con Germi è seguita da Che notte ragazzi di Giorgio Capitani con Philippe Leroy e Marisa Mell; Lionello è un commissario sul quale aleggia l’influenza di Peter Sellers.
Il '69 è l’anno di Certo certissimo…anzi probabile di Marcello Fondato (con Claudia Cardinale e Catherine Spaak) e di Porcile di Pier Paolo Pasolini con Pierre Clémenti, Ugo Tognazzi e Jean-Pierre Léaud. Lionello è Klotz, industriale di hitleriana memoria, personaggio grottesco che, conversando con la moglie, sembra quasi presagire una tendenza nei ruoli cinematografici che seguiranno: “I tempi di Grosz e di Brecht non sono affatto passati. E io avrei potuto benissimo essere disegnato da Grosz sotto forma di un triste maiale e tu di una triste maiala; a tavola, naturalmente. Io col sedere di una segretaria sulle ginocchia e tu con le mani fra le gambe dell’autista”.
Queste sono pellicole di successo come Sesso matto di Dino Risi (1973), episodio Un amore difficile con Giancarlo Giannini e Lionello en travesti, La poliziotta regia di Steno (1974) con Mariangela Melato e Renato Pozzetto e Mio Dio, come sono caduta in basso di Luigi Comencini (1974) con Laura Antonelli e Michele Placido. Seguono più esplicite commedie sexy come 40 gradi all’ombra del lenzuolo di Sergio Martino (1976) e La vergine, il toro e il capricorno di Luciano Martino (1977). Al piacere di rivederla di Marco Leto (1976), con Ugo Tognazzi, Françoise Fabian nel quale spicca l’interpretazione di Lionello, prete intrallazzone e vanitoso. In Gran bollito di Mauro Bolognini (1977) lo ritroviamo assieme a Max von Sydow e Renato Pozzetto, rispettivamente Berta, Lisa e Stella, tre malinconiche donne vittime di efferati omicidi compiuti dalla saponificatrice Shelley Winters.
Nel frattempo continua a calcare le scene assieme a Carla Gravina formando una propria compagnia, recitando in Joe Egg di Peter Nichols regia di Mario Missiroli (1969). Kezich racconta che Lionello cambia più volte il finale della commedia, per non dare dispiacere all’amato pubblico, il protagonista che se ne va di casa ritorna prima che cali il sipario e lui senza troppi giri di parole rassicura il regista iracondo: “Hai tutte le ragioni, ma cosa vuoi? Qualche sera non ce la faccio: mi pare così brutto andarmene così, sento che il pubblico non mi vuole più bene”.
Nel '72 dopo il trionfo di Marcello Mastroianni, Rodolfo Valentino in Ciao Rudy, Lionello torna a teatro chiamato per riproporre la commedia di Garinei e Giovannini con musiche di Armando Trovajoli. Nel suo percorso non mancano alcune regie teatrali come L’anatra all’arancia di William Douglas Home e Marc-Gilbert Sauvajon (1973) e Serata d’onore per un amico di Bernard Slade nel 1980, portata in scena a Broadway da Jack Lemmon. Nonostante la salute precaria degli ultimi anni, torna a lavorare con Squarzina ne Il Mercante di Venezia di William Shakespeare 1992, affiancato ancora una volta dall’attrice e compagna Erika Blanc, assieme alla quale appare per l’ultima volta in Sogno di una notte d’estate (1983), opera prima di Gabriele Salvatores.
È a proposito di Uomo e superuomo di George Bernard Shaw (1961), che Squarzina ricorda la soddisfazione provata lavorando con Lionello, potremmo concludere questo tentativo di abbozzare il profilo dell’attore riportando le sue parole: “Era un sogno dirigere Lionello con i mezzi pazzeschi che possedeva uniti alla volontà di ubbidire e di imparare; era come suonare un violino Stradivari, ma lo paragonerei più che altro a un pianista che è solo con il suo strumento davanti al pubblico, per la qualità, diciamo, di scelta di se stesso che faceva continuamente (…) Era appunto la somma, la sintesi delle contraddizioni nella compresenza del comico e del tragico a costituire la ricchezza delle interpretazioni di Lionello, che aveva bisogno, un bisogno fisico, di sentire le risate del pubblico eppure era capace di lasciarlo sbigottito”. (Omaggio a Alberto Lionello, 1999)