Alice sta con Simon. I modi di lui sono suadenti, ma pretendono che lei non sia nulla di meno della fidanzata ideale, secondo i suoi canoni ovviamente. Alice deve apparire e comportarsi in un certo modo, addirittura mangiare secondo direttive precise, e ci si auspicherebbe frequentasse il meno possibile quelle due vecchie amiche, che non le fanno affatto bene. Lei cerca di rigare dritto e riversa ogni aggressività contro se stessa, tormentandosi e strappandosi intere ciocche di capelli.
Per il suo debutto nel lungometraggio, Mary Nighy porta sugli schermi Alice, Darling con la perfetta fidanzatina d'America Anna Kendrick, quasi a dimostrazione di come anche nel mainstream la sensibilità sul tema dell'abuso nelle relazioni di coppia sia decisamente cambiata rispetto ai tempi di A letto con il nemico (1991). Se là tutto si giocava sul piano della violenza fisica – o della sua implicita minaccia – ora invece siamo sul piano di quella eminentemente psicologica, con un uomo le cui armi sono il ritiro dell'affetto e la distruzione dell'autostima.
E se Julia Roberts era bella, buona e brava, con la sola sciagura di non aver compreso inizialmente la vera natura della persona a lei accanto, una vittima angelicata e senza macchia, Nighy (e con lei la sceneggiatrice Alanna Francis) si premura di ribadire a una società evoluta ma non troppo che le vittime sono quel che sono, e restano comunque nondimeno tali.
Così Alice, Darling si addentra con una certa sensibilità negli aspetti di co-dipendenza, mostrando come le vittime attuino strategie “strane” per non pensarsi tali, per non vedere chi amano come un carnefice, diventando alla fine conniventi di chi le abusa. Vediamo come Simon imponga il suo controllo incessante su Alice con mezzi incruenti come i messaggi sul cellulare, o come i modi per redarguirla passino sotto le vesti di osservazioni finto-affettuose sulla persona e la fidanzata che potrebbe essere.
L'incapacità di lei di stare al passo con gli standard di lui la conduce alla menzogna e al disgusto di sé, e la progressione drammatica del film è efficace nel farci comprendere come anche solo mangiare un pacchetto di patatine possa essere vissuto soggettivamente quale licenziosità imperdonabile.
Nighy gioca di intelletto, non di emotività. Non fa nulla per spingere gli spettatori all'empatia verso Alice, lascia che ognuno possa reagire secondo la propria sensibilità. Si può soffrire con lei, aver voglia di darle uno scossone, o ancora osservarla con sufficienza – atteggiamenti peraltro agìti sullo schermo in vario modo dalle sue amiche – ma mai non riconoscere la natura abusante della sua relazione affettiva.
Solo verso la conclusione ci è dato comprendere se abbiamo appena assistito a un dramma in forma di thriller o a un thriller con una profondità da dramma. Alice, Darling si mantiene con grazia sul filo del rasoio per buona parte del suo svolgimento, ma alla resa dei conti fatica a far quadrare le sue due anime di fondo.
E se resta apprezzabile che non conceda nulla agli appetiti violenti del pubblico, è anche vero che il climax resta debole e poco realistico, comprimendo in un tempo brevissimo un'elaborazione di sé plausibilmente piuttosto lunga. Banalissima poi la scena finale, certamente non all'altezza di un film con spunti di riflessione affatto scontati.