Alice ha trent’anni, una laurea umanistica prestigiosa e veste decisamente a la garçonne. Il sindaco Paul Théraneau potrebbe essere suo padre, amministra Lione con stanca mestizia ed incarna la crisi della sinistra europea incapace di fronteggiare, dopo averli provocati, precarietà e sovranismi. Alice è più fortunata della media dei suoi coetanei: viene arruolata in Municipio con l’incarico non banale, vago come pochi, di lavorare ad una “prospettiva nel terreno delle idee”, per stimolare un sindaco che le confessa di non riuscire più a pensare. Lei sa farlo meglio e più di lui? Il film non ce lo dice, anzi, ma non si ritrae davanti alle due confusioni che scorrazzano da tempo nella vecchia Europa: come rinnovare le politiche socialiste nell’era dell’economia globale e come farsi aiutare in questo da nuove generazioni loro malgrado prive di riferimenti.
Alice e il sindaco, scritto e diretto dal quarantacinquenne Nicolas Pariser, è un film di difficile lettura, che fotografa il passaggio di testimone politico e culturale fra due generazioni come un limbo che tale non dovrebbe essere, e che per la prima volta dal dopoguerra si manifesta nelle nostre società sotto queste spoglie, spaesando tutti. Da una parte chi vuole e deve cedere il passo ai propri figli chiede loro apertamente: “Cosa desiderate? Di cosa avete bisogno?”, e dall’altra chi stenta a farsi classe dirigente risponde: “Come posso spiegartelo?”. Per questo dialogo sotterraneo e silente su cui il film si sviluppa, Pariser sceglie un tono indecifrabile, metafora di un’epoca in stato di attesa e della natura dei suoi personaggi, sfuggente anch’essa. Mentre Alice osserva, ascolta, sorride ineffabile e interroga classici come Rousseau e Orwell per passare spunti a Théraneau, quest’ultimo la investe senza apparenti ragioni meritorie di incarichi di sempre maggior rilievo. Mentre Alice, che tutto sembra fuorché umile e anzi sorprendentemente a proprio agio nell’ambiente amministrativo, suggerisce al sindaco maggiore modestia, lui, autorevole certamente ma disarmato, le dà una mano a crescere e a mettere a fuoco i suoi desideri.
Due sono gli elementi di cui Pariser si avvale per realizzare questo inedito risultato: la de-drammatizzazione delle situazioni e la fiducia totale nella parola. Da un lato l’importanza di quanto viene detto nei lunghi e brillanti dialoghi e di quanto resta ad essi sotteso, dall’altro l’incedere enigmatico e sospeso del film. Da un lato la quantità di parole e concetti di cui Pariser fa portatori Alice e Paul, dall’altro la distanza a cui si tiene da loro. Eppure li ascoltiamo, confidiamo nella guida del sindaco e ci identifichiamo con la crisi della sua giovane consigliera, complici le loro identità sfumate ma in cerca di reciproca influenza e condivisione. La politica, suggerisce Pariser, è oggi soprattutto confronto aperto fra ciò che c’era un tempo, classici ed ideologie, e ciò che sta arrivando, misterioso ed imprevedibile. Ma anche quell’incontro può non contenere la risposta, ci avvertono Alice e il sindaco, autori a quattro mani della mozione non fortunata di Théraneau per la segreteria del partito, e protagonisti di un dialogo conclusivo ex post dai contorni ancor più dubbiosi e incerti di quelli dei confronti precedenti.