Il maggior pregio di All Day and a Night (presente su Netflix), opera seconda del regista, produttore e sceneggiatore Joe Robert Cole (noto come uno degli autori di The People v. O. J. Simpson e Black Panther) è l’andare oltre i cliché del ghetto-movie pur non tradendo le dinamiche stilistiche del genere. Come già Barry Jenkins in Moonlight e Se la strada potesse parlare, Cole cerca di smontare gli stereotipi legati alla periferia americana mostrando un’alternativa valida a quella iconografia.
Non c’è allora nulla di erroneamente epico o assolutorio nel percorso del protagonista Jahkor che da ragazzo di buoni propositi, intenzionato a sfondare nel mondo della musica e crescere onestamente il figlio nascituro, finisce col diventare il sicario di un boss locale. Per evitare gli involontari fraintendimenti tipici dei film affini degli anni Novanta (New Jack City, Juice, Nella giungla di cemento) – nei quali il violento iperrealismo e la rappresentazione della legge della strada finiva per suscitare una pur vaga simpatia per il delinquente protagonista, invece di stigmatizzarne chiaramente il comportamento – Cole parte dalla fine di questa parabola. Mostrando in flashback il passato del ragazzo e di come esso sia finito in carcere per omicidio, il film esce dai binari consueti del genere per farsi indagine sul contesto sociale e culturale al cui interno si forma il giovane gangster.
Il fenomeno spesso liquidato con una semplicistica e assolutoria consequenzialità tra povertà e delinquenza, è affrontato dal regista in un potente atto d’accusa non rivolto al destino, all’assenza delle istituzioni o al materialismo coatto che fa del ghetto una sorta di girone infernale, una piaga aperta e apparentemente insanabile del sistema americano. Per una volta il dito è puntato, come ha insegnato Spike Lee in Clockers e in generale in tutta la sua opera, verso le scelte individuali e le conseguenze che queste provocano. Jahkor ha la possibilità di perseguire una vita retta e onesta ma sceglie un’altra strada più facile quanto rischiosa, spinto da diversi fattori, personali (la rabbia innata, la frustrazione delle sconfitte, i pochi soldi) e contestuali (il maschilismo imperante, l’assenza di figure paterne esemplari, la legge della strada che controvoglia finisce per accettare), mostrando di ognuno le conseguenze a lungo termine sulla psicologia del ragazzo.
Una rielaborazione dei princìpi della psicologia ambientale che porta alla luce quello che il filosofo Cornel West definisce il nichilismo dell’America nera, “l’esperienza vissuta di chi deve affrontare una vita priva di significato, di speranza e (cosa ancora più importante) di amore. Il terrificante risultato di tutto ciò è un ottuso distacco dagli altri, nonché un atteggiamento autodistruttivo nei confronti del mondo”.
Ma la catena della colpa che lega i padri ai figli, che finiscono per ripeterne i medesimi errori (in carcere Jahkor ritrova il genitore, da anni detenuto anch’egli per un delitto analogo), può essere rotta. È questa la grande novità di All Day and a Night, l’offrire un destino alternativo al personaggio tipico di questi film, non più ragazzo ma finalmente uomo, capace di riconoscere le proprie colpe, pagare per esse e imparare dai propri errori per farsi nuovo esempio finalmente positivo per il proprio figlio. Una piccola pianta appena sbocciata che bisogna imparare a far crescere.