Esattamente dieci anni dopo l’uscita del film di Forman, Kurt Cobain viene trovato morto nella sua casa di Seattle. Solo tre anni prima, nel 1981, era Ian Curtis ad andarsene nella sua abitazione a Macclesfield. Amy Winehouse, invece, lascia questa vita molti anni dopo, nel 2011.
L’elenco di cantanti e musicisti la cui morte ha lasciato in vuoto nel cuore dei fan veneranti è lunghissimo; include artisti del passato e del presente su cui è stata costruita una vera e propria mitologia, alimentato dall’ideale romantico dell’eroe outsider. Anche Wolfgang Amadeus Mozart è presente in questo elenco: l’idealizzazione a genio incompreso, vittima del proprio contesto, e soprattutto le ipotesi narrative fatte sulla sua morte hanno reso il grande compositore austriaco un Dio.
È da questi presupposti che si sviluppa Amadeus, ottavo lungometraggio del regista cecoslovacco Milos Forman. La trama si fonda sulla falsa leggenda di una rivalità tra i compositori Mozart e Antonio Salieri, così come descritta in un’opera teatrale di Puskin (Mozart e Salieri, 1830); se da un lato la sceneggiatura di Peter Shaffer – già autore dell’omonima pièce – si impalca proprio sullo scontro tra i musicisti, dall’altro, però, il film, fortunatamente, non risulta reverenziale nei confronti del compianto Mozart. Regista e sceneggiatore hanno sapientemente spostato il focus sull’antagonista Antonio Salieri, evitando di limitarsi al biopic.
Forse la chiave della sensazionale riuscita del film sta proprio nel riuscire a giocare sulla iconicità di Mozart. Si racconta il “mostro sacro” della musica classica, se ne sfrutta il genio e lo si rende martire di una società che da lui ha preteso troppo. Ma si racconta tutto questo senza, di fatto, raccontarlo: si sfrutta la figura di Mozart in quanto “semplice” soggetto che si muove in un piano narrativo, non come leggenda. L’unico a vederlo con gli occhi del fan devoto, di fatto, è Salieri, vero protagonista del racconto, di cui lo spettatore scopre l’io più intimo. Questa complessa impalcatura è supportata da due attori eccezionali, Tom Hulce (Mozart) e F. Murray Abraham (Salieri).
Il rapporto della vicenda narrata con il concetto di santificazione viene messo in evidenza già dal titolo stesso dell’opera. Amadeus era la traduzione latina di Theophilus, adottata al posto del vero nome di battesimo di Mozart (Joannes Chrysostomus Wolfgangus Theophilus): colui che ama Dio. Lo stesso Salieri, nel film, si mostra inizialmente come un uomo dalla profonda fede religiosa, che vede in Mozart una sorta di messaggero divino. Riflettendo su Romanticismo e sull’estetica dell’esperienza artistica, di nuovo emerge il già citato ideale di beatificazione del musicista martire. Sembra quasi che Forman abbia scelto questo titolo appositamente per sottolineare la sua decostruzione dell’artista-mito.
Al di là della decostruzione, però, la voce di Dio – locuzione con cui Salieri descrive la musica di Mozart – è chiaramente udibile nel film. La colonna sonora di Amadeus, infatti, è costituita esclusivamente da composizioni scritte dal musicista austriaco. Anche lo spettatore meno avvezzo a opere e sinfonie, non può che restare estasiato di fronte alla potenza degli archi e dei fiati e di come questi e il canto lirico si incastrino perfettamente nel ritmo delle vicende.