È iniziata una nuova era per il cinema. Quella del documentario di guerra animato, un genere capace di mescolare il reportage bellico con una rilettura simbolica della realtà, resa possibile dalla creatività delle animazioni. Ne avevamo avuto un saggio a Cannes con il bellissimo film di Stefano Savona, La strada dei Samouni, giustamente premiato con l’Oeil d'Or come miglior documentario, che mescolava le riprese dal vero ad animazioni a graffito in bianco nero per raccontare la guerra tra Israele e la striscia di Gaza. Ne abbiamo conferma oggi con Ancora un giorno il “militante” film di Raúl de la Fuente e Damian Nenow, che focalizza la sua attenzione su un altro capitolo di storia recente colpevolmente trascurato dal flusso mediatico (freneticamente concentrato sull’attualità quotidiana) e misconosciuto dai più: la guerra civile in Angola.
Siamo nel 1975, subito dopo la Guerra di indipendenza (1961-1974) combattuta dall’Angola contro il Portogallo, e la decolonizzazione, infuria la guerra civile: una lotta per il potere tra due fazioni liberali, il Movimento Popolare di Liberazione dell'Angola (MPLA) di stampo marxista leninista e l'Unione Nazionale per l'Indipendenza Totale dell'Angola (UNITA), per lo più mercenari anticomunisti appoggiati dagli USA. Si trattò in realtà di una delle tante guerre “per procura” tipiche della guerra fredda, con il diretto coinvolgimento nel conflitto delle grandi potenze di URSS, Cuba, Stati Uniti e Sudafrica. Ryszard Kapuściński, giornalista della Polonia socialista, si trovava lì, nel mezzo della cosiddetta "confusão" quando la città di Luanda veniva assediata e infuriavano caos e battaglie. Kapuściński contro ogni ragionevole spirito di autoconservazione, decide di voler toccare con mano il cuore del conflitto e raggiungere il fronte meridionale, laddove il generale Farrusco, un portoghese fuoriuscito dal suo esercito e passato dalla parte del MPLA, con un manipolo di soli 50 uomini, combatte una resistenza leggendaria.
I fatti narrati nel film sono quelli riportati da Kapuściński nel suo romanzo omonimo edito nel 1976 e tradotto in tutto il mondo. Lo stile scelto per l’animazione dei personaggi è a metà strada tra il graphic novel e il crudo realismo. Il tutto è condito da un’ispirazione a tratti sentimentale che tenta di abbozzare un ritratto dell’uomo Kapuściński per alcuni eccessivamente agiografico, per chi scrive meritatamente eroico. Infatti quello che emerge dal film, in sostanza, è il rilevante valore delle azioni compiute dall’uomo Kapuściński, che ebbe il coraggio non solo di addentrarsi nel cuore della guerra da cui tutti scappavano per toccare con mano la verità della resistenza popolare, ma anche poi di incidere consapevolmente con le proprie azioni e le scelte da giornalista, sul corso degli eventi storici. Nei momenti decisivi della Operación Carlota in cui Cuba si distinse per il massiccio intervento militare in supporto al MPLA, Kapuściński scelse di non diffondere l’informazione di cui per primo era entrato in possesso, lo scoop del coinvolgimento di Cuba nella guerra, per evitare di nuocere alla causa dell’MPLA.
Nelle interviste ai veri protagonisti della storia, montate in alternanza alle animazioni, Kapuściński è ricordato di fatto come un militante per la causa dell’Angola libera, perché con il suo comportamento aiutò Farrusco a vincere la guerra. Lo stampo giornalistico della vicenda ritorna anche nella breve memoria dedicata ad una delle protagoniste di questa storia, la combattente Carlota, (conosciuta e fotografata dal reporter in quei giorni di guerra) fiera guerrigliera dell’MPLA, caduta sul campo di battaglia due mesi prima di compiere vent’anni. Di lei Kapuściński riportava nel suo romanzo Another Day of Life, l’urgenza di essere ricordata, l’impegno nella cura dei feriti e la speranza di poter garantire ai bambini angolani una vita senza guerra.
Con il Kapuściński di Ancora un giorno il giornalismo si interroga sul suo potere di cambiare le cose e di incidere sugli eventi, e allo stesso modo i protagonisti di quella guerra e di quella vittoria tirano le somme e contano i morti. Artur, amico di Kapuściński e reporter africano, si definisce come il più grande perdente, perché “è vero abbiamo vinto la battaglia che ha portato all’indipendenza dell’Angola, ma nel tragitto tutti i miei ideali sono andati distrutti. Dov'è la società egualitaria? Dove sono i miei fratelli senza fame? E il socialismo? E la rivoluzione?”. Domande che assumono il valore di epigrafe insieme all’immagine onirica del corpo di Carlota che si fonde con la madre terra dell’Angola per la cui libertà ha dato la vita.