La messa in immagini di un brano musicale è un processo che esiste già da decadi: molti registi di cinema hanno iniziato la propria carriera nel mondo dei videoclip o vi hanno fatto incursione: si pensi a David Fincher, Spike Jonze e Michel Gondry. Recentemente però, abbiamo assistito ad una nuova tendenza: non più videoclip realizzati per meri fini promozionali, ma piuttosto, veri e propri short-film, in cui il connubio tra cinema e musica diventa indispensabile. È il caso di I Am Easy to Find diretto da Mike Mills per l’omonimo album dei National e di ANIMA di Paul Thomas Anderson, che va ad accompagnare il terzo lavoro solista di Thom Yorke.

Anderson era già entrato in contatto con le sonorità dei Radiohead dirigendo i video di tre dei loro brani; allo stesso modo, Jonny Greenwood – chitarrista della band di Oxford – aveva realizzato le colonne sonore de Il petroliere, The Master, Vizio di forma e Il filo nascosto. Quello tra Anderson e la band di Yorke era un sodalizio già consolidato.

In questo corto, visibile su Netflix, il regista dirige Yorke in tre sequenze dall’ambientazione non immediatamente identificabile. Nella prima, girata sulla musica di Not the News, incontriamo il cantante in un treno; intorno a lui altre persone, vestite di colori scuri, impegnate in una coreografia di Damien Jalet (già al lavoro con Luca Guadagnino in Suspiria). Yorke si guarda attorno, provando una sorta di alienazione nei confronti dei soggetti sconosciuti. La macchina da presa si sofferma brevemente su una donna (interpretata dalla compagna del musicista, Dajana Roncione); se per un attimo un contatto tra i due sembra possibile, successivamente, la donna scompare, lasciando dietro di sé una misteriosa valigetta. In una gag che va ad evocare la fluidità danzante di Chaplin e Keaton, Yorke resta bloccato nella metropolitana. Quando finalmente il cantante riesce ad uscire dalla stazione, si ritrova in uno spazio in cui ombre e luci si contrappongono, rimandando ad un’estetica da cinema espressionista. La sequenza ricorda in particolar modo il sottosuolo cittadino dove vive la classe proletaria in Metropolis di Fritz Lang (la vera location è il castello di Les Baux-de-Provence).

Con l’entrata del brano Traffic, la dimensione diventa onirica; in un certo senso potremmo interpretare il passaggio come un’esplorazione della sfera interiore del protagonista. In questa sequenza a prevalere su tutto è la coreografia di Jalet, che Yorke cerca prima di imitare e che poi finisce per interpretare insieme agli altri ballerini. Nel finale di Dawn Chorus ritroviamo il cantante in una Praga notturna, che la fotografia di Darius Khondji rende cupa e irreale. In un momento di delicata intimità, Yorke si confronta finalmente con la donna; i due sono ora insieme, disposti a conoscersi, ma forse non totalmente capaci di farlo. È in questa sequenza che il tocco di Anderson appare maggiormente, nella suntuosa regia e nell’atmosfera che ricorda la festa di fine anno de Il Filo Nascosto.

In una recensione apparsa sul Guardian, Peter Bradshaw ha evidenziato come la scena finale del corto gli abbia ricordato un momento di 1984 di George Orwell. Il collegamento tra lo scrittore e ANIMA è evidente: sia il caos distopico descritto da Orwell che l’ansia esistenziale messa in scena da Anderson somigliano in modo sempre più inquietante alla realtà.