L’importanza delle scene teatrali nella vita di Anna Magnani è ben nota. Tutta la sua carriera è caratterizzata dalla presenza del palcoscenico: dagli studi nella Reale Scuola di Recitazione Eleonora Duse ai successi nella rivista a fianco di partner maschili quali Antonio Gandusio e Totò e autori come Michele Galdieri, dal debutto nelle parti drammatiche alla fine degli anni 30 con La foresta pietrificata e Anna Christie fino al ritorno sulle scene con Zeffirelli nel 1965 con la trionfale tournée italiana ed europea de La lupa.

Il rapporto di Anna Magnani con il teatro si interseca con quello con il cinema. Tennessee Williams adatterà per lei le sue commedie La rosa tatuata (1951) e La discesa di Orfeo (1957) e proverà ripetutamente a farla esordire a Broadway. Il palcoscenico entra direttamente in molti film dell’attrice, in modo più o meno significativo. Se in Cavalleria (1936) Magnani si esibisce solo per pochi secondi in una canzone applaudita dagli spettatori di un teatro e in Teresa Venerdì (1941) la vediamo prendersi gioco di quel ruolo di sciantosa di tanti numeri di rivista, Una voce umana (1948), La carrozza d’oro (1952) e l'episodio diretto da Visconti in Siamo donne (1953) mettono in scena l’attrice Anna Magnani davanti alla macchina da presa.

Lo dice esplicitamente Roberto Rossellini: “Meglio di ogni altro soggetto, Una voce umana mi offriva l’occasione di usare la macchina da presa come un microscopio, tanto più che il fenomeno da scrutare si chiamava Anna Magnani”. Girando il mediometraggio tratto dal monologo di Cocteau senza scalfire l’impianto teatrale, il regista sente di “seguire il personaggio nei suoi più segreti pensieri”. Ai limiti della crudeltà, mette in scena la fine di un amore attraverso un gioco di specchi con la realtà e con la stessa macchina da presa, in cui Magnani si specchia spesso direttamente nel suo disperato tentativo di ritrovare un’identità indipendente dalla persona amata che l’ha appena lasciata.

Anna Magnani riconduceva la sua scelta di salire sul palcoscenico proprio alla sua “voglia di essere amata, di ricevere tutto l’amore” che aveva sempre mendicato: una decisione presa nella culla “tra una lacrima di troppo e una carezza in meno”. Presentando La carrozza d’oro, Renoir affermò che per l’attrice principale del suo omaggio alla commedia dell’arte e al significato stesso di essere “interprete” (comédien), “la scelta della Magnani è inevitabile perché Anna [. . .] è la personificazione assoluta del teatro, quello vero con gli scenari di cartapesta, le lampade fumanti, gli orpelli degli ori scoloriti”.

È proprio in uno di questi teatri dove entra, fin dai titoli di testa, la macchina da presa di Renoir e dove ritorna per la scena finale in cui il capocomico descrive Camilla (Magnani) con parole spesso utilizzate dall’attrice stessa per comunicare la sua passione per le scene: “Il solo posto dove puoi trovare la tua felicità è ogni palcoscenico [. . . ] durante quelle due brevi ore nelle quali ti trasformi in un’altra persona e solo allora diventi te stessa”.

Al centro dell’episodio diretto da Visconti nel collettivo Siamo donne (1953), ritroviamo Anna Magnani negli anni della rivista mentre si reca al lavoro in taxi e litiga con il conducente che le vuole far pagare un supplemento per il cane, troppo grande per essere considerato “da grembo”. Ha la peggio col tassista ma, come esce sul palcoscenico, si consacra davvero come attrice, anche grazie ai primi piani e all’illuminazione del volto che Visconti le riserva. Tutto l’episodio è, quindi, un omaggio al recitare “Anna Magnani”.

“Il teatro si prende tutta la mia vita”, dichiarò significativamente Anna Magnani nel 1962, annunciando la sua rinuncia alla parte di Madre Coraggio a Broadway per una programmazione di un anno e mezzo che l’avrebbe tenuta troppo lontana dal figlio Luca. Certo un omaggio al suo essere madre, ma anche una struggente dichiarazione d’amore verso il teatro.