“Nell’essenza stessa della poesia c’è qualcosa di indecente:

sorge da noi qualcosa che non sapevamo ci fosse,

sbattiamo quindi gli occhi come se fosse balzata fuori

una tigre,

ferma nella luce, sferzando la coda sui fianchi.

[…]

L’utilità della poesia sta nel ricordarci

quanto sia difficile restare la stessa persona,

perché la nostra casa è aperta, la porta senza chiave,

e ospiti invisibili entrano ed escono”.

 

Ars poetica? Czeslaw Milosz

 

A 40 anni dalla sua prima uscita, Apocalypse Now conserva ancora quel magnetismo narrativo e quella non colmabilità di significati che son propri dei classici. Chissà se Francis Ford Coppola prima di girare il film aveva avuto occasione di leggere la poesia che il Nobel Czeslaw Milosz scrisse nel ’68 a Berkeley, se si era soffermato sull’immagine della tigre - animale fatato conradiano - e sul suo significato. Quel che è certo è che - per il principio di intertestualità letteraria - dentro la casa poetica di Apocalypse Now molti ospiti visibili e invisibili sono entrati ed usciti. Il primo e ingombrante ospite, che tutti conosciamo, è sicuramente quel Cuore di tenebra di Joseph Conrad che il regista durante le riprese si portava dentro la tasca dei pantaloni e che a volte si sostituiva direttamente al copione di John Milius. L’ultimo ospite, in ordine di tempo, è probabilmente Tieni ferma la tua corona, di Yannick Hanael, pubblicato in Italia a fine 2018 da Neri Pozza. Curioso come, più o meno negli stessi mesi, mentre Coppola metteva mano alla terza versione di Apocalypse Now, Hanael stesse dando alle stampe un romanzo che è un omaggio alle ossessioni letterarie e cinematografiche e che contiene infiniti riferimenti proprio a questo film in particolare.

Il protagonista di Tieni ferma la tua corona è Jean Deichel, uno scrittore pazzo e senza soldi, che se ne va in giro con una sceneggiatura di 700 pagine intitolata The Great Melville e dedicata “all’interno misticamente alveolato della testa di Melville”. Il progetto - che vuole essere una riflessione sulla solitudine dello scrittore, sul suo sacrificio e sulla sua infelice consacrazione alla verità, anche quand’essa sfugge e sembra oscura - viene metodicamente scartato da tutti produttori, fino a quando Jean ha un’illuminazione: solo Michael Cimino può capire il suo testo. E così Jean vola a New York per incontrare il regista e parlargli del proprio progetto ma anche e soprattutto di cinema e letteratura. Questo l’universo intorno al quale ruota l’intero libro, che si dilata poi in rivoli onirici, ironici e cinefili, come un cane dalmata di nome Sabbat ereditato da un vicino in fuga, la petulante portinaia Mme Figo che rincorre Jean reclamando l’affitto, una sontuosa e alcolica cena parigina con Isabelle Huppert che evoca ricordi di vecchi set.

Jean è ossessionato da tre film in particolare, Il cacciatore, I cancelli del cielo e Apocalypse Now, e dal loro potere epifanico: “sì, ero abbastanza pazzo da credere che attraverso certi film circolasse un segreto; abbastanza pazzo da immaginare che fosse possibile accedervi e perfino riceverne lumi. Questo segreto lo avevo cercato attraverso i film di Michael Cimino e adesso la ricerca si faceva ancora più ampia […]”. Ma se ai film di Cimino vengono dedicate poche righe, è proprio al capolavoro di Coppola che Hanael dedica tantissime pagine, spaziando da semplici contrappunti, come quando fa del film un lasciapassare da ostentare per sfuggire a Mme Figo (“ho brandito sopra la testa il Dvd e l’ho tenuto molto in alto con entrambi le mani, come un cartello: «Apocalypse» ho urlato, «Apocalypse Now» e sono corso via senza lasciare a Mme Figo il tempo di aprire bocca”) alla rievocazione ossessiva di intere scene del film (“devo descrivervi in modo dettagliato Apocalypse Now. La chiarezza della storia che sto tentando di raccontarvi dipende dalla conoscenza di questo film”.

Ma il dettaglio delle scene serve in realtà a Yannick a cogliere il significato intimo del film, a svelare la trama sotto le apparenze, così come per Conrad “il significato di un episodio non era dentro, come un gheriglio, ma fuori, e avviluppava il racconto che lo rivelava come la luce rivela una foschia”. Dopo aver incontrato Cimino Jean guarda ogni sera Apocalypse Now come se questo film completasse l’esperienza di Cimino e ne costituisse il seguito “perché con Apocalypse Now ci si spingeva ancora più in là nell’esplorazione degli inferni in cui il mondo non la finisce più di sprofondare. In quel film, più che in qualunque altro, si passa in ogni istante dalla vita alla morte e dalla morte alla vita: secondo me la missione del capitano Willard […] non si svolge in Vietnam, e nemmeno in Cambogia […] ma in un posto che non figura in nessuna carta: quel punto spaventoso - sacro - in cui la vita e la morte si incontrano”. Hanael si spinge quindi fuori dal gheriglio alla ricerca del significato: “Nell’appassionante inferno di Apocalypse Now […] scoprivo una catabasi che, anziché descrivere l’impantanarsi degli americani nella Guerra del Vietnam, riguardava la situazione sacrificale di noi tutti”.

E anche il titolo stesso diventa luce che rivela la foschia: se Apocalypse Now nelle intenzioni di Milius voleva parodiare il motto hippy Nirvana Now, nel momento stesso della sua incarnazione cinematografica - sostiene Hanael - diventa altro, si dilata al dopo che legge il prima: “se come affermava il titolo del film, l’apocalisse è lì - e i sigilli sono infranti - allora la natura delle azioni muta; non soltanto esse non hanno più alcun senso, ma diventano estranee all’universo che le contiene: sono voci che si dibattono, gesti che tramano, volontà che si accecano. Ciò che avevo affidato alla mia sceneggiatura riguardava per l’appunto la fine: l’idea che la fine è arrivata, che è già lì e che in un certo senso viviamo dopo la fine”.

Ma Hanael arriva addirittura ad attualizzare questa fine, sovrapponendola ad un orrore ai nostri occhi recente e invitando nella casa coppoliana altri ospiti invisibili: Jean Deichel dichiara che la sua prima visione di Apocalypse Now risale all’epoca in cui lo Stato islamico ha cominciato a diffondere i suoi video di decapitazioni. Un chiaro richiamo - fa dire a Jean tra sogno e realtà- ai mucchi di teste mozzate sui gradini che nelle scene finali del film portano fino al colonnello Kurtz.

Hanael ci suggerisce insomma l’idea di una sorta di orrore che attraversa la storia e i media (letteratura, cinema, tv), e che pur mutando forme rimane incessantemente sotto i nostri occhi. Dalle tenebre narrative del testo di Conrad - ambientato lungo il fiume Congo a fine ‘800 - per giungere a quelle cinematografiche di Coppola - immerse nella Guerra del Vietnam - fino a quelle di nuovo letterarie e contemporanee di Hanael, che sono però rievocate dalle parole attraverso la riproduzione di dvd di film e di immagini televisive delle decapitazioni dei prigionieri dell’Isis. Quell’orrore che esce dalla bocca di Kurtz attraversa tempi, luoghi e mezzi, e arriva in modo dolorosamente diretto fino a noi, a ciascuno di noi, oggi. E - forse per fortuna – questo orrore non finisce mai di parlarci. “Le tenebre aspettano che noi perdiamo la luce - scrive Hanael - ma è sufficiente un chiarore, anche infimo, la povera scintilla della capocchia di un fiammifero, perché il sentiero si apra: allora la corrente prende la direzione opposta e tu risali dalla morte”.