Apocalypse Now è da un lato il più celebre film sulla guerra in Vietnam, dall'altro un capolavoro intimista. Lo stesso Francis Ford Coppola, con un certo compiacimento per le iperboli a dire il vero, affermò sia che il suo film non fosse “sul Vietnam” ma “il Vietnam” stesso, sia che esso trascendesse il particolare evento storico. Non vi è abiura del principio di non contraddizione, in tali riflessioni, quanto piuttosto la resa sommaria della complessità di un'opera che era un colpo al cuore nel 1979 alla sua uscita nelle sale, e lo è ancora oggi dopo l'uscita nella smagliante versione Final Cut, restaurata in 4K e col suono avvolgente del Dolby Atmos, dopo essere passati per la Redux del 2001.

C'è, in Apocalypse Now, tutta l'essenza di Coppola e della New Hollywood, l'ambizione smisurata e commovente a costruire un cinema d'autore che avesse profondità di sguardo e al tempo stesso si facesse grandioso spettacolo per la gloria di sé e del pubblico. E c'è in esso anche il germe della fine della New Hollywood, a dispetto dello smodato successo che il film riscosse, con una lavorazione eguagliata per follia ed epicità solo da Fitzcarraldo, fra set distrutti da un tifone, l'attore protagonista colpito da infarto, il regista in preda a pensieri suicidi e un budget triplicato rispetto alle aspettative. Una perfetta ricetta per il disastro, che si rivelò poi un trionfo ma lasciò il sentore che ci fosse mancato davvero poco, tanto che basteranno poi I cancelli del cielo per chiudere tutta la faccenda e lasciarsi dietro l'utopia di un cinema siffatto.

Ma se questo contribuisce al mito, poco spiega del perché Apocalypse Now non resti relegato ai fantasmi di una certa epoca per un certo paese al di là dell'Atlantico. La sceneggiatura di Coppola e John Milius nasce da Cuore di tenebra di Joseph Conrad, un racconto di fine '800 che parlava di qualcosa di ben diverso, commercianti d'avorio in Congo. Eppure la vicenda funziona perfettamente anche qui, con il capitano Willard di Martin Sheen che risale il fiume per andare in Cambogia a uccidere tale colonnello Kurtz, uno che avrebbe potuto diventare generale ma è impazzito e ha voluto farsi capo-dio per un manipolo di seguaci. La risalita del fiume non è tanto un viaggio nella follia della guerra, espressione tanto facile quanto vacua, ma un percorso psicologico nella conoscenza del proprio lato oscuro in condizioni di crescente perdita di controllo, e dunque delle consuetudini della civilizzazione.

Charlie, il nemico vietnamita, è invisibile, non tanto perché tenda concretamente a nascondersi, quanto perché la lotta interiore non è contro di lui. C'è un tentativo di de-umanizzarlo, senz'altro, una volontà di sbeffeggiarlo anche, ma in fondo nessuna reale empatia né oppositività, come era ad esempio evidente ne Il cacciatore dell'anno precedente. La sola cosa che si possa dire di lui è che la sua forza risiede nel vedere davanti a sé solo la vittoria o la morte, senza tentennamenti su cosa sia giusto fare. Lo stesso non si può dire dell'esercito americano, indeciso su cosa porgere all'avversario, se raffiche di mitra o cerotti, nelle parole di Willard. È un contesto di progressivo disfacimento del senso di sé e del tutto, nel quale la guerra (e la guerra in Vietnam in particolare) diventa solo la manifestazione più plateale, la cartina al tornasole di ciò che nell'animo umano esiste già.

La volontà di potenza e l'egoismo istintivo della sopravvivenza sempre sono stati e sempre saranno lì, inconfessati, e in condizioni di perdita di senso e labilità delle regole sociali si fanno ingovernabili. Apocalypse Now è la messa a nudo del male che alberga nel cuore di ognuno, ed è per questo che finisce per essere sia un sofferto film pacifista, nella messa in scena spietata dell'orrore, che una poderosa celebrazione della guerra, nel riconoscimento della sua inevitabilità. Non a caso lo stesso Coppola ebbe a dire che, più che un film anti-militarista, il suo fosse un film anti-menzogna. Ognuno può trarne in autonomia le conseguenze.

L'indimenticabile Kurtz di Marlon Brando è molte cose insieme. È il buono fattosi col tempo cattivo, e in quanto tale rappresenta tutto l'esercito americano in Vietnam. È colui che ha guardato dentro il suo cuore di tenebra e dunque ha visto completamente se stesso. Per questo finisce per essere un uomo devastato, distrutto, che si lascerà uccidere da Willard. È però anche l'unico detentore di un senso, per quanto questo sia infine l'orrore, in un contesto di mancanza generalizzata di esso, e come tale viene trattato come un dio, “severo ma giusto”.

Chi vive nella civiltà accetta una menzogna, non ha il coraggio di guardare le cose nella loro interezza, dunque si concentra su sparuti dettagli: gli ufficiali che a Saigon conferiscono l'incarico a Willard sono concentrati sulle prelibatezze del loro pranzo più che su ogni altra cosa, e il colonnello Kilgore che lo scorta nelle prime fasi sul fiume è tutto preso dall'odore del napalm e dalla Cavalcata delle Valchirie di Wagner a tutto volume. Lo stesso sistema che vuole Kurtz morto prima possibile non solo non ha nessun problema a tollerare Kilgore e il suo vezzo di mandare i soldati a surfare in mezzo alle bombe, ma anzi lo ammira per la sua capacità di attenzione selettiva.

Il viaggio lungo il fiume è un progressivo allontanamento dalla civiltà e, nelle parole di Willard, non ha senso lasciare la barca a meno non si sia disposti ad andare sino in fondo. Willard è pronto a farlo perché è un militare sconvolto dalle esperienze che ha già vissuto, che tenta ormai solo di rivivere costantemente il trauma nel tentativo di superarlo. Non sa più stare né nella vita civile né in guerra: è in sospeso fra bene e male, conoscenza e ignoranza di sé. Ed è pressoché atarassico, incapace di risuonare emotivamente di fronte a qualsiasi evento. Quando giunge alla fine del suo viaggio, al cospetto di Kurtz, Willard è molto vicino alla comprensione del male in sé e nell'altro. Dopo averlo ucciso, potrebbe farsi dio a sua volta, ma decide invece di andarsene trascinandosi dietro per un braccio Lance, nel primo gesto affettivo gli si veda fare. Ma dato che la complessità morale di Apocalypse Now non finisce qui, stanno già risuonando le note di The End dei The Doors, proprio come all'inizio: nulla pare cambiato.