La giovane April cammina lentamente per il convento che per tutta la vita ha chiamato casa. La macchina da presa la segue rispettando il suo passo e la sacralità del luogo. Fuori dal convento, la serenità di un lago, la limpidezza del cielo, una porta che si apre in modo che April possa disperdersi nel mondo, trovare una sua autonomia. April giunge alla stazione di una città moderna con le sue mastodontiche architetture di ferro. La camera segue il suo disorientamento, coglie la rottura percettiva di una ragazza che ha vissuto una vita lontano dalla modernità, dalla massa, dai gesti concitati degli affannati cittadini. E dal rumore. Concretissimo. Probabilmente mai stato così concreto fino ad allora al cinema, da poco diventato sonoro, nel 1929, anno d'uscita di Applause. Perché il cinema è una macchina dell'apparato industriale moderno, parte integrante di quella rottura percettiva che colpisce April, supplente dello sguardo spettatoriale.

Il debutto al cinema di Rouben Mamoulian è un prodigioso melodramma sulla modernità e le sue nuove macchine, tra cui appunto il cinema. Nonostante la formazione teatrale, lo spiccato senso estetico da cosmopolita europeo e il gusto per l'avanguardia, il regista sembra approcciarsi al cinema perfettamente consapevole di quel che è stata la sua evoluzione linguistica nel contesto americano: integrazione del momento attrazionale nel quadro simbolico della narrazione e delle sue necessità di progressione, l'inscrizione di uno sguardo attraverso l'identificazione con il protagonista, la dialettica tra personaggio e ambiente abitato. Ma proprio a partire da questa postura vidoriana, Mamoulian infrange il realismo della continuità narrativa con ferventi intuizioni avanguardistiche. Così la stazione e quel senso di spaesamento ritornano in un incubo di sovraimpressioni a minacciare la psiche della giovane.

La tipica storia di emancipazione nella nuova società moderna si scontra con quella di un sacrificio: la madre Kitty ha lavorato tutta la vita in un burlesque per permettere alla figlia una vita “alta”, spiritualmente piena, nel convento. La visione da spettatrice della figlia di uno di questi “bassi” spettacoli è ulteriore motivo di disorientamento. April vuole estendere il suo desiderio di autonomia alla madre, una libertà che è unione di anime. In una stanza buia appaiono solo il letto e i loro due corpi uniti in un abbraccio. Le due donne vogliono espandersi fuori dalle immagini in cui sembrano racchiuse. Kitty è continuamente minacciata da ritratti, da ombre, dalla stessa macchina da presa che riprendendola dall'alto sembra schiacciarla.