Alla prima visione delle illustrazioni di Mara Cerri (classe 1978), considerata da Goffredo Fofi “elegante e trasognata capofila di una famiglia di disegnatori provenienti dalla più meritevole scuola d’arte di Urbino”, si potrebbe subito pensare, facendo un balzo imprevisto nel mondo ludico, al famoso gioco da tavola Dixit. Per chi non lo conoscesse il suddetto gioco di carte mette al centro la narrazione e la fantasia, attivate dalla visione delle carte che esso contiene; piccoli gioiellini, illustrazioni immaginifiche (in questo caso la portabandiera è Marie Cardouat) che attivano la mente facendola viaggiare in altre dimensioni. Ci si aspettava quasi di ritrovarla nella lista degli illustratori che hanno collaborato con i propri lavori alle espansioni del gioco. Nonostante la sua assenza, si ritrova nel i suoi lavori la stessa volontà narrativa, un tuffo nel mondo onirico e anche qualcosa di simile nello stile pittorico; oltre ad un’attivazione dello sguardo dello spettatore a cui viene richiesto di spaziare per ricercare significati.

La rappresentazione, nelle sue opere, è immediata; ci sono però dei dettagli al loro interno che dal mero contorno iniziale assumono, proseguendo con la lettura dell’immagine, un rilievo particolare. Ci sono vere e proprie sequenze interne alle illustrazioni che ti inducono a desiderare di vederle in movimento: si percepisce lo slancio vitale verso l’animazione che lei stessa definisce “l’alito soffiato dentro un disegno, un guanto, un sasso”. Per la Cerri il cinema d’animazione è il divenire, la trasformazione, la magia ed è forse uno dei motivi per cui, afferma, “non so dare compiutezza ai miei lavori…mi sembra che debbano prima o poi iniziare a muoversi…accomodarsi ogni volta in una nuova forma che sul mio mutare prende le misure”.

Si capisce meglio perciò come il passaggio all’animazione sia quasi sempre, per l’illustratrice, evoluzione finale e naturale di lavori cartacei, tangibili. Lo è il suo primo cortometraggio, Via Curiel, 8, realizzato con la compagna di studi e animatrice Magda Guidi; un racconto iniziatico, con disegni - più di 4000 - realizzati a mano (matita di legno, matite colorate e pittura acrilica). Progetto - vincitore nel 2011 nella sezione cortometraggi al Torino Film Festival - concretizzato attorno al soggetto di un suo libro illustrato. Come lo è anche il suo ultimo cortometraggio, Sogni al campo, presentato a Venezia e riproposto nell’ultima edizione di Visioni Italiane, che la vede lavorare nuovamente con la sua amica e collega Guidi. A precedere il corto, infatti, sono state le mostre dedicate e allestite per esporre i frame (i primi storyboard risalgono al 2012) che hanno costituito questo lungo progetto durato otto anni, dal quale ha preso forma anche un libro. Quest’affezione al supporto cartaceo - palesato anche dall’approccio al lavoro delle due (ogni fotogramma è infatti disegnato a mano) -  sembra rispondere ad una necessità. La tangibilità di questi progetti è essenziale, probabilmente, per riuscire a discernere il contenuto densissimo delle opere prese d’esempio, oniriche e immaginifiche.

Vi è un attento studio cinematografico che segue l’assemblaggio di tutto il materiale cartaceo, un fine lavoro di ricerca di senso filmico e di reminiscenze del bagaglio delle due artiste. In Via Curiel, 8, ad esempio, sono molti i riferimenti che si possono scovare, nell’approccio costruttivo (pensiamo a Ejzenstejn), nelle suggestioni di alcuni frame (si ritrova ad esempio Persona di Bergman) o ai rimandi ad alcuni personaggi cinematografici (la bambina di Alice nella città di Wim Wenders). Come tanti sono i riferimenti pittorici, in Sogni al campo si possono respirare quelle atmosfere dei paesaggi (Urbino nello specifico, luogo caro alle due artiste marchigiane) che molti pittori del Rinascimento, a partire da Raffaello, scelsero per gli sfondi di alcune loro opere.

Si parla spesso, in merito al suo segno, di eleganza (lo stesso Fofi lo cita). Saranno i contorni sfumati o le ampie pennellate degli sfondi ma di certo un’eleganza si esprime anche più concettualmente. Si riflette nell’atteggiamento dell’artista, che punta a caratterizzare e distinguere. É riconoscibile, infatti, un leitmotiv nei suoi lavori: lo sguardo enfatizzato dei suoi protagonisti, che diventa elemento distintivo di una poetica complessiva (alla stregua di quella della pittrice Margaret Keane - forse conosciuta al grande pubblico per Big Eyes di Tim Burton). Gli occhi dei protagonisti dei suoi disegni sono quasi sempre accentuati, grandi, con un bianco, attorno alle pupille, pronunciato e i volti che guardano direttamente lo spettatore/lettore.

Questo si riscopre nelle sue opere animate assieme alla Guidi. Sono occhi penetranti quelli dei protagonisti di Via Curiel, 8 e del bambino di Sogni al campo che catapultano inevitabilmente nel profondo, in cui spazio e tempo si fondono, suggerendo di voltare lo sguardo verso il bambino dentro ognuno di noi. Via Curiel, 8 indaga un’idea di infanzia come tempo della possibilità; un desiderio di tornare indietro per sistemare e correggere qualcosa. Sogni al campo è invece il racconto trasognato di una crescita, il passaggio tra la vita e la morte, tra l’infanzia e la vita adulta; è l’elaborazione di tutte le memorie della vita che bisogna mettere in ordine e lasciare andare.

Forse la comprensione totale di queste opere richiederebbe numerose visioni, ma già ad una prima si percepisce la generosità e la fascinazione di Mara Cerri nel raccontare per immagini. Un distacco dal mero racconto didascalico, che si ritrova anche nei suoi libri illustrati, per far affiorare ciò che si è rilevato nel profondo. Leggendo alcune sue riflessioni scoviamo il suo credo, quel riferimento che le permette di avere a fuoco quale sia il suo lavoro e obiettivo. Afferma come nel definire il compito dell’illustratore, Borges (esponente del realismo magico) le ritorni sempre in mente. L’autore sostiene che “il libro è lo specchio d’ogni volto che sopra vi si china”: per la Cerri, perciò, l’illustratore è “un lettore privilegiato che può dire a tutti gli altri quello che ha visto, dopo essersi chinato sul testo”.