Il titolo della quindicesima edizione di Archivio Aperto, il festival organizzato da Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia a Bologna dal 20 al 24 ottobre, si prefigge di portare l’archivio nel mondo, affermando in questo modo la rilevanza storica dei filmati privati, sperimentali e di found footage che compongono le opere presentate. Le aspettative suscitate da un titolo così ambizioso non sono certo andate deluse in questa edizione particolarmente ricca, che si è distinta per la presenza del Premio Nobel Annie Ernaux, dal primo concorso italiano dedicato alle opere di found footage e da retrospettive importanti come quella sulla regista sperimentale americana Marie Menken.

La suggestione di portare l’archivio nel mondo si è realizzata in modo decisivo, tuttavia, grazie proprio ai film presentati nelle diverse sezioni del festival che hanno mostrato come sia possibile far rivivere il materiale d’archivio oltre le contingenze private o storiche alla base della sua immediata genesi. I filmati delle viaggiatrici inglesi e americane dei primi cinquant’anni del secolo scorso, raccolti da Courtney Stephens in Terra Femme (2021), diventano un’occasione per documentare percorsi di emancipazione all’ombra dell’Impero e sperimentare un rovesciamento della teoria di Laura Mulvey su “the male gaze”.

Allo stesso modo in cui i curatori del festival hanno voluto rovesciare il percorso che confina il mondo nell’archivio, così Stephens libera lo sguardo femminile dalle costrizioni del maschile, invitandoci a soffermarci su donne che osservano donne nei loro viaggi. Anche le tre donne di Home When You Return (2021) di Carl Elsaesser si osservano e dialogano, pur indirettamente e non sempre avvertite della presenza delle altre, grazie ad una regia che monta il materiale in un sapiente e commovente melodramma sirkiano, concentrando l’attenzione sulle donne e negando visibilità al personaggio maschile problematico di turno, sia esso interpretato da Rock Hudson o Robert Stack.

Anche quando abbiamo a che fare con materiale girato per documentare la Storia di una nazione, come in The Kiev Trial (2022) di Sergei Loznitsa o 1970 (2021) di Tomasz Wolski, rispettivamente sulla “Norimberga ucraina” che mandò a morte quindici criminali di guerra nazisti e sulla repressione delle manifestazioni e scioperi degli operai polacchi del 1970, l’intervento del regista non si limita al restauro dei materiali. Entrambi i cineasti, che, non a caso, collaborano tra loro, rimontano il materiale con nuovi effetti sonori e richiamano l’attenzione su quelle che possono essere le discrepanze tra i documenti storici e le testimonianze filmate e sulle possibili lacune d’archivio.

In 1970, per esempio, Wolski riempie il vuoto d’archivio delle immagini delle stanze del potere ricostruendo le scene con pupazzi ad impersonare i politici e utilizzando come dialoghi gli audio originali delle conversazioni telefoniche tra i responsabili della repressione. Infine, nel caso dell’iraniano Nazarbazi (2022), con un’ulteriore inversione dei concetti tradizionali di Storia e finzione, sono le immagini cinematografiche di film iraniani a documentare la realtà storica della censura sulla corporeità e sul desiderio tra i corpi operato dai Guardiani della Rivoluzione

Il rapporto tra passato famigliare e passato storico, nella sua declinazione di nazionale e coloniale, è stato alla base di molte delle opere del festival. In Journal d’Amérique (2022), Arnaud des Pallières utilizza le immagini private della collezione Prelinger per investigare criticamente gli elementi della cultura americana, dalla fiducia (mal riposta?) nella possibilità di mobilità sociale al tema del doppio mutuato da Twain, dall’imperialismo economico e militare all’ossessione del patriottismo suggerito da Stephen Crane. Crossing Voices (2022), vincitore del concorso, parte dall’appartamento francese di uno dei suoi autori, Bouba Touré, per ricostruire il viaggio del regista negli anni 70 verso il Mali (ancora una volta un’inversione, in questo caso della “naturale” traiettoria migratoria) con il progetto di stabilire una comunità agricola autosufficiente.

Il colonialismo francese ritorna in Écoutez le battement de nos images (2021), in cui Audrey e Maxime Jean-Baptiste danno finalmente voce allo sradicamento di centinaia di famiglie guianesi da parte del governo francese per permettere la costruzione del centro spaziale di Kourou negli anni 60. Terra dei Padri (2021) di Francesco Di Gioia e Red Africa (2022) di Alexander Markov aprono i rispettivi archivi nazionali per trovare immagini di diversi momenti del Novecento in cui il continente africano è stato occupato da ideologie contrapposte, il liberalismo giolittiano degli anni 10 e il terzomondismo sovietico in seguito alla decolonizzazione. L’opera di Di Gioia potrebbe finalmente rappresentare un primo passo verso una seria disamina dei crimini coloniali italiani.

I curatori del festival hanno giustamente fatto notare come questa edizione arrivi a cent’anni dall’invenzione del 9,5 mm, il formato amatoriale più antico, avvenuta appunto nel 1922. Fondamentale per la visione della Storia di molti dei cineasti che hanno voluto portare i loro lavori a Bring the Archive into the World è anche un altro evento quasi coevo: il filosofo tedesco Walter Benjamin acquista nel 1921 il dipinto di Paul Klee Angelus Novus. L’acquerello di Klee ha suggerito a Benjamin una visione della Storia come insieme infinto di rovine di cui dobbiamo tenere memoria, un primo tentativo di portare l’archivio nel mondo.