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“The End of Love” di Keren Ben Rafael a Venezia 2019

Sin dalla prima inquadratura Julie e Yuval sono mostrati esattamente come vengono visti dal partner. Quindi, a parte una sola sequenza, mai insieme. In questo modo la separazione tra i due coniugi diventa una separazione reale, quasi fisica, anche per lo spettatore. La scelta registica diventa un’efficace presa di posizione concettuale e un modo per coinvolgerci emotivamente e psicologicamente: assistiamo al film come ad una serie di soggettive in cui si alternano i punti di vista di Yuval e di Julie. L’assenza di contatto si fa sensazione psicologica. Mentre ai dialoghi è affidata la progressione narrativa (per lo più non vediamo succedere le cose, le sentiamo raccontare dalle parole dei protagonisti, quasi a sancire la non-vita della relazione), la composizione delle inquadrature è studiata per trasmettere l’incomunicabilità in cui la coppia precipita gradualmente. Keren Ben Rafael ha giustamente parlato di “nuovo linguaggio delle relazioni” riferendosi alle videochiamate e al modo in cui vengono utilizzate nel film. Pur legati dal filo sempre più esile di un contatto visivo virtuale, Yuval e Julie, costretti a non avere altro del partner se non l’immagine, si ritrovano paradossalmente a guardare sé stessi più del compagno (o della compagna), a porsi domande sui propri desideri non solo sessuali ma di vita, di futuro.