Quando Yuval deve tornare in Israele per rinnovare il proprio permesso di soggiorno all’estero, Julie rimane a Parigi con il loro figlioletto. I due giovani sono convinti che le videochiamate su Skype potranno sopperire all’assenza fisica del partner, ma ben presto si rendono conto che l’immagine di un display non fa altro che aumentare la distanza.

L’opera seconda di Keren Ben Rafael mostra una piena consapevolezza del linguaggio cinematografico e della sua possibilità di interagire proficuamente con le nuove tecnologie. Il punto di forza del film risiede nella scelta di uno stile perfettamente coerente con la storia che racconta: The End of Love è infatti uno screen-movie, ovvero un film in cui l’inquadratura cinematografica coincide con lo schermo di un cellulare o con il monitor di un computer. Tecnica già utilizzata soprattutto negli horror di nuova generazione (Unfriended di Levan Gabriadze e Unfriended - Dark web di Stephen Susco) o nei thriller (Searching di Aneesh Chaganty), a comprovare implicitamente la veridicità dei fatti mostrati e con lo scopo quindi di accrescere la tensione nello spettatore, essa è qui impiegata per esibire in tempo reale una situazione di quotidianità alterata non da elementi orrorifici o sovrannaturali ma da un meccanismo relazionale inconsueto.

Sin dalla prima inquadratura Julie e Yuval sono mostrati esattamente come vengono visti dal partner. Quindi, a parte una sola sequenza, mai insieme. In questo modo la separazione tra i due coniugi diventa una separazione reale, quasi fisica, anche per lo spettatore. La scelta registica diventa un’efficace presa di posizione concettuale e un modo per coinvolgerci emotivamente e psicologicamente: assistiamo al film come ad una serie di soggettive in cui si alternano i punti di vista di Yuval e di Julie. A volte addirittura dei loro computer: quando lui non risponde alle chiamate, noi vediamo comunque la donna mentre attende la risposta, la osserviamo dal punto di vista della webcam del computer. L’assenza di contatto si fa sensazione psicologica. Mentre ai dialoghi è affidata la progressione narrativa (per lo più non vediamo succedere le cose, le sentiamo raccontare dalle parole dei protagonisti, quasi a sancire la non-vita della relazione), la composizione delle inquadrature è studiata per trasmettere l’incomunicabilità in cui la coppia precipita gradualmente.

Keren Ben Rafael ha giustamente parlato di “nuovo linguaggio delle relazioni” riferendosi alle videochiamate e al modo in cui vengono utilizzate nel film. La prima sequenza presenta i due sposi a letto, a inquadrature alternate e simmetriche, come a mostrare le due metà complementari di un intero. Solo in un secondo tempo capiamo che le due inquadrature sono le immagini dei monitor, le interfacce di una virtualità che ha sostituito la comunicazione tattile. Quello che sembrava un rapporto sessuale si rivela ora un doppio rapporto degli sposi con sé stessi. Anche il sesso è diventato virtuale e il film fa emergere come, seppur appagante in un primo momento, esso non possa bastare a riempire il vuoto creato dalla separazione, che lascia invece spazio alla graduale biforcazione delle due linee narrative corrispondenti ai due protagonisti.

Pur legati dal filo sempre più esile di un contatto visivo virtuale, Yuval e Julie, costretti a non avere altro del partner se non l’immagine, si ritrovano paradossalmente a guardare sé stessi più del compagno (o della compagna), a porsi domande sui propri desideri non solo sessuali ma di vita, di futuro. Quando Julie muove lo schermo del computer, spostando dall’interno i margini dell’inquadratura, assistiamo all’espressione concreta del fatto che il personaggio cambia la nostra visione e quindi anche quella del marito. I due sposi diventano registi di un film che racconta la loro metà della storia: scelgono cosa inquadrare, se farlo e come farlo, assecondando o meno le richieste del partner. Ognuno di loro si ritrova dunque ad esplorare un nuovo sé, un sé stesso senza l’altra metà, aprendosi a prospettive di lavoro o a relazioni sociali e familiari prima trascurate. Solo alla fine del proprio percorso Yuval e Julie si ritrovano insieme, fisicamente e cinematograficamente, dividendo la vita e lo spazio di una stessa inquadratura.